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lunedì 27 dicembre 2010

Il più bello dei mari - Nazim Hikmet

(nell'immagine: Mare di nebbia di Friedrich)


Il piú bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il piú bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I piú belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di piú bello
non te l’ho ancora detto.

Nazim Hikmet
da Poesie d'amore


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mercoledì 22 dicembre 2010

Poesia d'amore: Figlio Evitato di Alberto Bevilacqua

... per deliberato amarti ...
(nell'immagine: Nudo Blu di Picasso)

Si può amare un figlio mai avuto? Sì, ed è forse l'atto d'amore più grande che può esistere, perché è un atto consapevole del mondo circostante, è un rifiuto a concepire un'esistenza in un mondo ammuffito. Una prova d'amore contro l'egoismo del concepire per se stessi senza la valutazione del futuro del concepito. Felicità o dolore? Tormento o estasi? Cosa ci attende al momento della nostra nascita? La bilancia pende sempre un po' di più verso il baratro, le debolezze investono la forza e nel gioco delle probabilità l'infelicità ha un peso maggiore. È quando si diventa consapevoli del male del mondo, del tremendo supplizio dei vivi e del dolore cui si può andare incontro senza che si possa intervenire in alcun modo sulla rotta, è in quel momento che l'essere consapevole muta il suo amore in una scelta di non concepimento; un atto estremo d'amore che nutre col dolore dell'anima un figlio desiderato e mai avuto.
Figlio evitato è tra le più belle poesie di Bevilacqua, carica di passione, sentimento, dolore e amore. Una poesia dedicata a quel figlio che il poeta avrebbe voluto, che stringe a se come fosse di carne viva ma è solo l'essenza dei suoi rimpianti. Un desiderio che contrasta con l'amara constatazione d'una esistenza difficile, un duro vivere che viene risparmiato col più altruistico (e incompreso) atto d'amore. Non mi stupisce che questa poesia sia tra le più care al poeta stesso.


"Ci fu il piccolo enigma del Figlio evitato. Riflettevo che, nel bilancio negativo di molti aspetti della mia vita, il male di mia madre si era imposto. Con effetti radicali, alcuni devastanti. Dovevo riconoscerlo con rassegnata amarezza. Avevo pagato i conti che lei aveva lasciato in sospeso dopo essere stata dilapidata. In me si era fatto ossessivo il pensiero che non ero padre, traumi e contagi materni mi avevano impedito di esserlo. Ne era nata una poesia. Fra le mie che considero più belle. L'avevo dedicata al figlio che non avevo avuto... La tenevo sul mio tavolo di lavoro. Andavo a rileggerla per provarne una pietà tutta mia, per farmi del male. Un giorno, il foglio con la poesia scomparve... Ho ritrovato il foglio con la poesia tempo dopo, fra le pagine del Diario di mia madre."


FIGLIO EVITATO

... è nello sguardo chiaro
che potresti avere, è nel tuo guardarmi
furtivo, mentre sono distratto,
che mi capia di pensarti,
figlio
che non ho voluto per deliberato amarti

- potrebbero, se tu fossi esistito
essere le nostre vite
strette l'un l'altra
come piccole scimmie freddolose
al vento di questa sera
... ti avrei al mio fianco a camminare
in false distanze, scorci
di pensiero anch'esso di prospettico inganno
... o forse
mi potresti persino detestare

- avresti potuto
essere il mio orgoglio - dicono -
ma il mio orgoglio è l'averti risparmiato
l'ora della penombra
che affila la lama:
tu solo puoi dire
se fu errore e in che misura
non averti dato in pasto alla specie
... tu solo capire
che con la forza del vuoto ti ho piena,
mia statuina sacra,
mio geranio a cui do acqua
alla primora del giorno,
e giorno non c'è che mi dimentichi

... ci troveremo là dove si sta nel prima
e al prima si torna,
rispondimi: perché avrei dovuto
infliggerti devianze di una via
per un calvario breve?
- mi vedrai un giorno apparire,
mi lascerai, io spero,
il posto a sedere
accanto a te: ricordati, se puoi,
di toccarmi almeno le mani
nelle mie mani le piaghe
del non averti
mai accarezzato la fronte da vivo

... delle primavere, delle donne che avresti
potuto avere
è fatta questa vastità della mia solitudine;
mi vanto solo di questo:
non ho buttato nel pattume nessuno.


Alberto Bevilacqua

poesia presente nella silloge
interpretando in versi la detenzione di mia madre nell'ospedale psichiatrico di C.
e in Le Poesie - Oscar Mondadori -





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giovedì 16 dicembre 2010

Berlino


Ho visto candida
la neve stendere gelidi manti,
le strade scaldarsi di uomini
mille impronte fiammeggiare
al focolare del rosso vino.

Ho visto sguardi pazientare
davanti lunghe indecisioni,
comunione d'istinti e umanità.

Ho visto gente diversa
trovare un accordo comune
nel suono d'una parola,
dita intirizzite sulle mappe
indicare dubbie destinazioni.

Ho visto metropolitane,
fermate ognuna diversa
mutare il movimento in arte.

Ho visto gallerie illegali
tra umide decadenze
serbare autentici artisti
e pubbliche mostre fatue
ostentate presunzioni osannare.

Ho visto,
come dall'oppressione nascano vivi
colori e emozioni contro la spada.

Ho visto volti assassini
con mani tese ai morti
innalzare marmorei silenzi
ai solenni templi della Storia.

- Ho udito,
miei connazionali parlare
d'una Patria in fiamme
senza nostalgia
bevendo,
ho udito
infiniti strepiti lontani
sfiorar lievemente l'anima,
e sì distante m'è parsa
quella terra di fuochi
che solo sentivo il calpestio
di quattro passi nella neve.

Matteo Di Stefano
(nell'immagine un dipinto di
Alexander Rodin)
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martedì 7 dicembre 2010

L'Amleto attualizzato

Questo curioso riadattamento in chiave moderna del celebre monologo di Amleto l'ho trovato all'ultima pagina del secondo numero di To Be, rivista gratuita di recente formazione dedicata al teatro. La rivista, distribuita nei teatri e non so in quali altri posti, per ora è presente solo a Roma e nel Lazio. Il pezzo viene proposto come traduzione apocrifa e ci mostra un Amleto totalmente nuovo, contemporaneo; prendendo come spunto un personaggio che non citeremo, questa traduzione fornisce la prova concreta della spiccata universalità del linguaggio shakespeariano.


Entra Amleto

Essere o non essere, questo è il problema:
se sia più nobile soffrire, nell'intimo del proprio spirito,
le pietre e i dardi scagliati dall'ex alleato
e cofondatore, o imbracciar l'armi, invece,
contro i giudici nemici, e, combattendo contro i processi,
metter loro le fini. Sparire. Volare. Nient'altro.
E nell'antigua villa poter calmare
i dolorosi battiti del cuore, e le mille offese dei giornali
di cui fu vittima la mia carne: quest'è una conclusione
che desidero notevolmente. Sparire, giacere.
Dormire, magari trombare. È proprio qui l'ostacolo:
perché in quel partito d'amore,
tutti i sogni che possan sopraggiungere
quando noi ci siamo liberati dal tumulto,
dal viluppo di questa vita morale,
dovranno indurci a riflettere. È proprio questo scrupolo
a dare alla sventura una vita così lunga!
Perché, chi sarebbe capace di sopportare
le frustate dei secondi fini,
i torti dei giornali e delle televisioni, gli oltraggi dei travagli,
le sofferenze dell'amore partito e non corrisposto,
gli attacchi della legge,
l'insolenza dei giudici e lo scherno che il mio merito
riceve fin dai sodali, se potesse egli stesso
dare a se stesso la propria quietanza
con un nudo pugnale? Chi s'adatterebbe a portar cariche
di presidenze di consiglio o addirittura di repubblica,
a gèmere e sudare sotto il peso d'una vita grama,
se non fosse che la paura di sentenze prima della morte
- quel territorio inesplorato dal cui confine
non torna finora indietro nessun viaggiatore -confonde
e rende perplessa la volontà,
e ci persuade a sopportare le maldicenze
che già soffriamo piuttosto che accorrere verso altri mali
di cui non sappiamo nulla. A questo modo,
tutti ci rende vili la coscienza,
e l'incarnato natuale della risoluzione
è reso malsano dalla pallida tinta del cerone,
e imprese e leghe di gran conseguenza,
deviano purtroppo in mille correnti,
e perdono il nome d'azione. Vota, ora:
o bella Democrazia! Ninfa, nelle tue preghiere
intercedi per me, peccatore.
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domenica 5 dicembre 2010

Fiori di Dama

ad una dama addormentata

Ci bastava esser conoscenti,
conoscersi non era abbastanza.
Con le lettere interrogammo
cuore, testa, mezze strade,
tra gli uni e gli altri: sorrisi.
Era poca cosa la simpatia
dei Fiori di Dama colsi
sospirante i notturni petali.


Invitammo i cuori a rischiare,
dove crescevano ortiche
mani curarono margherite,
quanto piacevole fu sentire
il gusto nuovo dello scoprirsi.

Dicembre sui laghi volgemmo
regnando su isole di pace
ma sì pochi parvero i giorni
ch'esilio e fuga fu la Catalogna.
Con un sorriso da birbanti
voltati senza scendere
- per pigrizia o diletto -
guardammo quelle ripide scale:
come Fiori di Dama ovunque
sbocciarono le nostre notti
il tempo fece di noi un'alcova.

A scoter chiome gialle
e pungere disfatte lenzuola
con beffarde raffiche
l'opaco autunno venne,
e fu un qui dove quando
ad interrogare il giorno morente,
arrivò, senza avvertire,
piacevolmente inaspettato
il tempo delle brandine.

Matteo Di Stefano(nella foto il bacio di Munch)
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