Torna a Roma Peter Brook e per molti sarà la prima volta. Il maestro ormai ha 85 anni, tanti, troppi per poterselo perdere. C'è chi non lo ha mai visto ma ne ha soltanto sentito parlare. Ha visto video, letto articoli, ascoltato insegnanti citarne massime e intuizioni. Eppure, tanto vicino non ci era mai stato; ora, il maestro è lì, ad una spanna dal proprio naso, mentre gli anni passano e (duole dirlo) tale occasione potrebbe non ripetersi. Noi che abbiamo mancato tanti grandi e che ci affacciamo al teatro negli anni bui della crisi, negli anni in cui la televisione sembra impadronirsi della fantasia, del genio artistico, gli anni dell'intrattenimento usa e getta. Noi che, oggi, decidiamo di studiare e amare il teatro siamo dei folli. Qualcuno è morto prima che noi potessimo scoprire la nostra prima battuta su un palco; ce ne resta la biografia, gli scritti, i frammenti video. Di Peter Brook invece, abbiamo ancora la possibilità di vederlo da vicino, di raccontarlo, di assaggiare e memorizzare un pezzo di storia del teatro. Perché il teatro è soprattutto un'arte che si mangia dal vivo, che si consuma all'istante e non si riproduce; una tela resta, un libro vive e si moltiplica, così come i film. Il teatro invece vive una sola sera, ed anche se oggi la tecnologia ci permette di riprenderlo e archiviarlo, muore con la chiusura del sipario.
È bello poter esser vivi anche noi, per una volta, dinanzi alla Messinscena di un maestro. Poi, che ne sarà, di noi, del teatro, del vecchio maestro? Ci sarà un nuovo maestro o saremo tutti fagocitati dallo schermo? C'è ancora posto in platea, la sala non si riempe e noi sudiamo dietro quella tela rossa, guardando il futuro sperando di non morire con lui, di non fermarci a lui. Abbiamo ancora voglia di teatro, anche se l'usa e getta vuole impedircelo, anche se, gli eventi, sembrano essere sfavorevoli; vogliamo ancora. Vogliamo. Perché è questo che ci fa amare il teatro: la capacità di continuare perfino contro l'evidenza del reale. Si chiuderanno i teatri, ma ci saranno le strade; ci arresteranno ma avremo sempre il corpo e la voce per urlare il nostro disappunto, la nostra isolata visione del mondo, per comunicare, per raccogliere un animo scontento dalla terra e portarlo con noi sul nostro palmo. Il teatro non muore, esiste perché esiste il corpo. Non ha bisogno di corrente elettrica, respira di palpiti umani, suda e freme come suda e freme un essere umano: e finché ci sarà un uomo che suda e freme il teatro vivrà. Sempre, e al di là di luoghi e governi.
Voleva essere un articolo sullo spettacolo di Peter Brook, è diventato uno sfogo, un manifesto d'amore consegnato a queste pagine. Oggi che si pronuncia quasi più la parola Fus della parola Teatro io attacco questo mio personale manifesto, perché ci sono realtà che riescono a sopravvivere anche soltanto col la forza della propria arte. Da quelle ripartiamo.
Alessandro Giova
Sullo spettacolo: Peter Brook sarà in scena al Teatro Eutheca (European Union Academy of Theatre and Cinema) di Roma dal 15 al 19 marzo con Fragments, uno spettacolo che mette insieme cinque pezzi di Samuel Beckett: Rough for Theatre I, Rockaby, Act Without Words I, Neither e Come and go. Altro non voglio aggiungere perché il nome di Brook e quello di Beckett insieme valgono il biglietto; e perché, inoltre, certi spettacoli, possono anche essere gustati al buio.