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lunedì 31 ottobre 2011

Le tre parole più strane - Trzy Slowa Najdziwniejsze - The Three Oddest Words

(nell'immagine: un dipinto di Joan Mirò)

Poesia di Wisława Szymborska, poetessa polacca e vincitrice del Nobel per la letteratura nel 1996.
Futuro, Silenzio, Niente, tre strane parole esorcizzate in pochi versi, messe a nudo e private della loro particolare natura attraverso la poesia. Perché la poesia è un eterno presente che oltrepassa i tempi; perché la poesia è il suono dell'anima che silenziosamente prende vita su un foglio di carta e in esso si esalta nel suo canto muto; perché poesia può essere tutto, fuorché Niente.

***

Quando pronuncio la parola Futuro
la prima sillaba va già nel passato.

Quando pronuncio la parola Silenzio,
lo distruggo.

Quando pronuncio la parola Niente,
creo qualcosa che non entra in alcun nulla.



Traduzione di Pietro Marchesani



Lingua originale: Trzy Slowa Najdziwniejsze


Kiedy wymawiam słowo Przyszłość,
plerwsza sylaba odchodzljuż do przeszłści.

Kiedy wymawiam słowo Cisza, niszcz ęją.

Kiedy wymawiam słowo Nic,
stwarzam coś, co nie mieści się w żadnym niebycie.


English version: The Three Oddest Words


When I pronounce the word Future,
the first syllable already belongs to the past.

When I pronounce the word Silence,
I destroy it.

When I pronounce the word Nothing,
I make something no non-being can hold.



Translated by S. Baranczak & C. Cavanagh



Wislawa Szymborska
da Attimo. Testo polacco a fronte


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venerdì 21 ottobre 2011

10 minuti di fluidità

http://www.enricogenovesi.com/img/sogno-part.jpg
(nell'immagine: Sogno, di Enrico Genovesi)


14.23, da un secondo, il dito schiaccia il suo primo tasto. Vorrei, sentire il vento che mi scaraventa indietro, mentre canto ritto sul tetto di una macchina in corsa sulla Route 66. Il brivido del disequilibro, il deserto, il vento, la voce che lotta col l'aria violenta schiacciata nella bocca. Il volo, lo schianto, mille frammenti, il suono di una chitarra che non demorde. Vorrei, disperdermi come spuma negli oceani di un cielo liquido, navigare o rinchiudermi in uno smeraldo verde, discendere all'inferno, giocare a scacchi una partita di vita o morte. Dieci esistenze, vorrei; una per ogni cosa, per ogni follia, per ogni scelta, per i più grandi sbagli, per i più grandi romanzi, per sperimentare l'assenza di ritorno. Una per potermi suicidare e raccontare alle altre nove cosa sono quei pochi attimi tra noi e lo schianto. Una per poter uccidere ed assaporare il sangue altrui, per invecchiare in una cella umida e riluttante, in compagnia di topi. Dieci respiri, alla ricerca di un senso, dell'imprevedibile, della condanna, dell'ascesa, della felicità, del nero più nero che annega nel bello. Galleggiare, variopinte voluttà, instabilità vaganti e trampoli, alti, fino a dissolute galassie del tempo passato. Incontrare Dio, provando stupore e quasi felicità; rallegrarsi che in fondo ti eri sbagliato. Godersi il momento del divino, arrancare, ridere, follemente, cercando infine qualcosa che sia più grande ancora di Dio. E non c'è mai limite alla sete. Sete, d'eternità, di riempire il proprio involucro vuoto, svuotato, ogni volta, senza posa. Sete...
Le 14.33, ucciso, ancora una volta, dal tempo.
Matteo Di Stefano


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mercoledì 19 ottobre 2011

Potessi almeno costringere - E. Montale

http://www.maurocolombo.com/i-dipinti-dell-artista-mauro-colombo/dipinto-mauro-colombo-la-maschera-g.png
(nell'immagine: un dipinto di Mauro Colombo)

***

Potessi almeno costringere
in questo mio ritmo stento
qualche poco del tuo vaneggiamento;
dato mi fosse accordare
alle tue voci il mio balbo parlare: —
io che sognava rapirti
le salmastre parole
in cui natura ed arte si confondono,
per gridar meglio la mia malinconia
di fanciullo invecchiato che non doveva pensare.
Ed invece non ho che le lettere fruste
dei dizionari, e l’oscura
voce che amore detta s’affioca,
si fa lamentosa letteratura.
Non ho che queste parole
che come donne pubblicate
s’offrono a chi le richiede;
non ho che queste frasi stancate
che potranno rubarmi anche domani
gli studenti canaglie in versi veri.
Ed il tuo rombo cresce, e si dilata
azzurra l’ombra nuova.
M’abbandonano a prova i miei pensieri.
Sensi non ho; né senso. Non ho limite.

Eugenio Montale
Ossi di Seppia


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giovedì 13 ottobre 2011

Corno Inglese - Eugenio Montale

Inserisci linkhttp://www.maurocolombo.com/i-dipinti-dell-artista-mauro-colombo/dipinto-mauro-colombo-lacerata.jpg
(nell'immagine: un dipinto di Mauro Colombo)

Il vento; lui sì che sa dove andare, non ha dubbi; conosce la sua forza, ha coraggio e soffia con energia. E' sempre sicuro di sé, sa che può essere melodia dolce o inarrestabile frastuono. Sa, che gli alberi son suoi amici per innalzare canti, che infilandosi in un tubo produce un suono come di flauto, o che può sibilare solo nell'aria in un lieve sussurro. Può anche dipingere, scolpire, modellare; può far fare viaggi infiniti. Il vento è tutto ciò che vuole, non ha insicurezze, conosce i suoi sentieri. A volte, noi, si vorrebbe essere come il vento: sicuri, decisi, armonia di suono e pittori di cieli; ma siamo così poveri e desolati, che non possiamo che sentirci di troppo.

***

Il vento che stasera suona attento
-ricorda un forte scotere di lame-
gli strumenti dei fitti alberi e spazza
l' orizzonte di rame
dove strisce di luce si protendono
come aquiloni al cielo che rimbomba
(Nuvole in viaggio, chiari
reami di lassù! D' alti Eldoradi
malchiuse porte!)
e il mare che scaglia a scaglia,
livido, muta colore
lancia a terra una tromba
di schiume intorte;
il vento che nasce e muore
nell'ora che lenta s'annera
suonasse te pure stasera
scordato strumento,
cuore.

Eugenio Montale
da Ossi di Seppia


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lunedì 10 ottobre 2011

A Piermaria, ricongiuntosi alla terra nella foresta boliviana

http://files.splinder.com/75e00d86b9cd4a986bf183cd21554c1c.jpeg
(nell'immagine: un dipinto di Augusto Daolio)



Sulla riva ove nascesti,
culla d'occhi tuoi ridenti
torni, da viaggi primordiali
fragile e interrotta scintilla.
Ancora io ho in mente viva
fanciullesca una rappresaglia
di pirati, briganti e tu: preda!
Innocente legato ad un fusto!
Che orge, che urla e strepiti
da quel tuo vociare prigioniero:
ti slegammo per la torta.
Otto, nove anni, non ricordo...

Chissà se nacque allora
quell'amor pe' l'alte cime
e l'infinito se, oltr'aghi e pigne
vedesti tu una verità brillare
che a te già voleva come figlio.

Aleggi ora Spirito nei boschi
raggio dischiuso d'eternità
penetri fra fitti rami e vivi
nelle viscere e inondi.. noi,
giovani briganti sospesi,
la torta in mano, per te
fanciullo...
Matteo Di Stefano

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