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giovedì 28 maggio 2015

La via del ritorno...

Sulla via del ritorno, memorie asfaltate; e riflessi. I sensi acuti catturano l'ambiente, il peggio che possa capitare alla tua anima. Una fluttuazione solitaria e tutto è nostalgia. In ogni sguardo, in ogni smorfia, in ogni respiro. E tutto è poesia, tutto è devastazione emotiva. Quell'uomo pieno di tic, con quelle movenze bizzarre, macchiettistiche. Guardi non visto, assente, momentaneamente al di sopra di tutto. Un povero attore costretto a rivedere i suoi canoni: "troppo teatrale". E tutto intorno invece è più teatrale della teatralità stessa. La vita è innaturale. La vita è una sensazionale divagazione di anime, di storture, di malformazioni mentali, di strade che franano dando a corpi e volti espressioni fuori dal normale. E tu, tu citi un ricordo, rovesciato da chissà quale cassetto. Si contorce l'anima di fronte a due paia di labbra che si sfiorano; ne osservi bellezza e orrore insieme; tu solo. Brutto essere osservatori estremi, captare ogni singolo getto d'umanità, assorbire in sé fiumi di vita, amalgamarla, sezionarla e archiviarla ordinatamente, può sempre far comodo un ricordo. Sono attimi, puoi farne ciò che vuoi, puoi renderli infinitamente grandi, il resto sarebbe poco interessante: ordinaria amministrazione. Un pezzo qua, un pezzo di là, pezzetti di realtà che compongono un puzzle che a suo modo produce una musica. Ed è forte, perché a ciò che manca rimedia la fantasia, più vivida e forte di qualunque scontata realtà. La realtà fa schifo, uno schiaffo alla magia. Se potessimo vivere solo nei sogni? Realtà, sempre realtà, cruda, bastarda, penosa riproduzione di gesti. L'arte, la letteratura, i film ci hanno impestato l'anima e noi sognamo. E se la realtà non diventa un sogno, il nostro compito è inventare sogni, come il sognatore dostoevskiano, per il quale un minuto può bastare a riempire la vita: se vi fosse stato un giorno invece? Una settimana? Un mese? Un anno? Mio caro, tanta realtà non basterà a raggiungere la grandezza di pochi secondi di sogno. Un ubriacone riempe la strada di berci immondi, ciondola e per lui è tutta colpa dell'Ecuador. Un tale su una panchina lo chiama, ha un cartoccio. "E' per sopravvivenza", dice. "Mangia, devi dare benzina allo stomaco sennò impazzisci". Questa è il massimo d'umanità che mi è capitato di raccattare tra i mostri quotidiani, dalle forme stropicciate delle loro costruzioni. Nevrosi. Quasi piangi a sentirli parlare, a vedere quei due avanzi di vita condividere un pasto di fortuna, fraternamente. E' un devasto questo sogno che mi assale, questo sogno chiamato esistenza. A me toccò d'aprire varchi nell'aria con la mente ed essa sempre mi fu ostacolo alla fratellanza. Io non vivo, io non esisto, io personaggio immaginario. Tenerezza. Brutalità. Se solo ci fosse un'anima che sappia riprodurre i più alti slanci del mio fantasioso cuore. Compagni di volo. Ma è solo aria, solo respiro che si perde. E amo e odio tutto e tutti.
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lunedì 18 maggio 2015

L'ultimo volo di Dean

Facce funerarie, abitudinarie, inerziali. La quotidianità smorta che ti passa davanti senza neanche accorgersi della tua esistenza, scossa da un segnale sonoro tra una fermata di metro e l'altra. Ogni giorno un déjà vu che si ripete, incessante, un ronzio d'assordante silenzio che logora e scava una galleria dentro di te. Questa esistenza monotona che talvolta sbandieriamo al grido di "Vita!". Il dono più grande, il più grande brivido, la vera emozione. Ma è così davvero? Quei volti dicono il contrario mentre timbrano il cartellino del disavanzo emozionale, mentre passano una carta per lenire l'animo e dare un senso al sudore, tutto in ordine: il posto fisso, la casa, tanti oggetti e una confortevole comodità. Non nei vostri occhi, non un'emozione, non un'adrenalinica scintilla che accenda un passante avido e curioso. Eppure subito pronti a salire in cattedra, con lo scettro della morale teso verso il cielo a gridare che "l'emozione più grande è la vita". Bugiardi! Emozione è ben lontana dall'essere una parola a voi familiare. Da quello stesso cielo un uomo scendeva a gran velocità, un uomo danzava sul filo dell'incoscienza, dell'incomprensibile ricerca di un fremito, una scommessa: si vince per ora o si perde per sempre. Giocare con se stessi, con la propria vita al fine di tagliare il traguardo dell'adrenalina, avere affrontato il pericolo ed essere sopravvissuti, aver visto il mondo da prospettive inaccessibili alla maggior parte degli umani.

E mentre si aprono e chiudono le porte di quei serpentoni meccacini che fagocitano gente, sfogliamo il giornale e leggiamo di Dean Potter provando ammirazione, rispetto, forse anche invidia per avere avuto il coraggio di provare delle sensazioni che un luna park non riuscirà neanche lontamente ad imitare (ma che tuttavia forniscono un surrogato commerciale, accessibile e sicuro all'adrenalina autentica); e ovunque tu sia, Dean Potter, ti ringraziamo perché ci insegni una cosa fondamentale nella vita: fare ciò che ci dà emozione e piacere, fare ciò che voglioamo e amiamo. Ce ne dimentichiamo spesso e diventiamo schiavi dell'abitudine, della noia, del lavoro, della confortevole mediocrità delle nostre vite in putrefazione. Insegnaci a volare Dean, lungo i costoni di roccia dei nostri sogni più proibitivi; aiutaci a sconfiggere il tabù della parola "morte" e insegnaci come sposare l'incertezza; a capire che non ci serverà a niente vivere a lungo se non ci assumiamo il rischio di cadere in digrazia; che la strada verso la pienezza di se stessi è come un filo teso tra due canyon.
M.d.S.



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