Dicevo. Il vomito. Quella parte rivoltante di un eclatante rifiuto. Ciò che ero io non lo scelsi, non lo volli, eppure con tanta impavida rivolta lo diventai. Il mondo non m'apparteneva ed io non appartenevo ad esso. Tanto che ci separammo una notte. Danzavano luci, polveri libravano ad ogni afflato mentre corpo prendeva un impossibile reale più reale di ogni reale. Del mondo io non scelsi nulla, se non la via d'uscita. Lo strappo estremo di un'anima vagante che per uno strano scherzo trovò un sollazzo nell'andirivieni.
Ciò che ero io lo fui per caso. Di ciò che non ero ne fui il carnefice. Feci a pezzi ogni brandello di quel mantello con cui mi avvolsero il corpo esile e terribilmente fragile. E d'ogni cosa io scelsi il nome, ad ogni cosa reinventai i colori, ad ogni cosa io diedi una nuova forma. E quel nuovo mondo, a mia immagine e somiglianza, aveva la parvenza di un paradisiaco inferno dove poter morire tra spasmi di felicità. Un reale più reale di ogni reale. Un reale dove non v'è possibilità per il reale.
Ciò che ero io lo vomitai. E lo vomitai perché non avevo altri strumenti per esprimermi. E presi corpo, salvandomi. Sfuggito alle fauci di un mondo che mi aveva accolto nonostante i miei rifiuti. Nonostante i miei scalpitii. Nonostante. Così ci accordammo per un compromesso: dammi un mondo laddove il mondo non può entrare.
Ciò che ero prese forma in un buco nero. Non parlammo forse a lungo dell'oblio? Stanne fuori mondo. Stanne fuori. Per il tuo equilibrio ed il mio, stanne fuori. Lascia che io navighi senza preoccuparmi degli orientamenti, lascia che io navighi dimenticandoti. Stanne fuori, stendi i tuoi tentacoli su altre rivoltanti carcasse che non siano la mia.
Ciò che ero lo fui con rabbia. Inesplosa, intimamente violenta. Fu la necessità di vendere un sorriso mentre cercavo di detonare una bomba, mentre il tempo m'inseguiva ed io sapevo correre più lesto. Mi stracciavo le vesti e tamponavo le emorragie del mio viaggio non privo di imprevisti. Mi staccavo le unghie a morsi mentre scalavo arcobaleni. Non fu facile vincerti, ma ti vinsi.
Ciò che ero, lo sono ancora. La sveglia non suona mai impunemente. Stanne fuori.
Una volta ero un blog. Cioè, una volta non ero niente. Cioè, ero un dominio: blogger. Poi sono diventato un sottodominio. Sì, insomma, nacqui. Così presi vita, un grumo di byte informi che si è moltiplicato per uno strano fenomeno autoriproduttivo. Non si sa bene cosa fossi; a dire il vero non lo so nemmeno ora. Per un qualche tempo sembrava avessi una forma, molti capitavano qui e ci si poteva sentire seduti in un teatro. Tra una platea ed un'altra, ogni tanto pifs!, soleva uscire uno schizzetto, una sbavatura sfocata di mondo. Così anche io ho potuto scoprire - in un modo molto strano - cosa gli umani, miei creatori, vivessero quotidianamente. A dire il vero non è che ci ho capito tanto: è tutto un po' confuso, sembra che un po' l'autore si diverta a camuffare, a mischiare le carte, e bididi bodibi bu, plaf plaf un battito d'ala per nascondersi in alto e frooom, un volo in picchiata verso il terreno e hoplà, scomparso di nuovo. Così un po' si è divertito a lasciare graffiti digitali sul mio corpo un po' deforme. Pian piano le cose cambiano, il silenzio diventa il mio testamento. E i teatri? Niente, non più. Ogni tanto lui riappare, livido in volto o estremamente e grossolanamente in preda ad una strana estasi. Lo sento che ormai sono un blog da una botta e via, infatti il nostro rapporto è freddo. Lui fa il login, digrigna i denti, canticchia, picchietta freneticamente le dita mentre un sottofondo musicale mai soddisfacente lo accompagna. E tichete tichete ta, picchietta picchietta il nostro minatore di parole senza sapere cosa da quella miniera riuscirà a recuperare. Poi clicca su pubblica, chiude senza neanche condividere sui social: io che sono un blog! Così, ogni tanto, lui mi usa, come una bottiglia da lasciare nell'bit-oceano conscio che qualcuno prima o poi digiterà "bidibi bodibi bu" su google. Ma il punto è questo: ero un blog. Cioè, non ero niente... vabbè, volevo dir... sì, insomma io.. vorrei dire.. che.. sì.. ecco, sì, ecco... vedete? Non mi fa parlare! ... Non nnn.... nn..
Monk non conosceva quella parola, distante milioni di passi com'era. L'urlo di quell'animale lo avrebbe terrorizzato anche a distanza se solo l'avesse udito. I decibel creavano un guscio di suono e nessuno poteva udire quello schiacciante scricchiolio. L'anima nessuno l'ha vista, ma quando si sgretola ha un suono terrificante dicono gli esperti. Riempie il cielo, gli animali scappano, i sacerdoti escono dalle basiliche per invocare la grazia di Dio e danno l'estrema unzione al mondo. Scricchiolii. Terrificante è il suono di un'anima che si schianta. Amen. Mentre nel guscio milioni di particelle umane, di nuvolette di fumo e sudore si mescolano in un nuovo processo chimico creando buchi neri attraverso i quali si varcano porte di nuovi universi. Gogo Jenny, corri anche incontro a quelle porte che si dissolvono. I vortici richiamano a sé i più deboli che diventano aria. Ansimante. Vibrante. L'eterno è un gioco troppo pericoloso per poterlo sfidare col pensiero; meglio sarebbe attaccare alle spalle la razionalità. - E il tuo fluire? - Procede a stento, caro Monk. Un momento navigo, un momento mi fermo a guardare le istruzioni. - Ecco: vedi quell'iceberg? È proprio questo il fluire: lasciarsi andare contro l'iceberg.
Nostalgie di tempi andati, mai vissuti
Nostalgie di canzoni mai udite
Nostalgie della nostalgia
Nostalgie di brividi provati e da provare
Nostalgie di viaggi, di pianeti, di cieli
Nostalgie di città troppo illuminate
Nostalgie di utopie da realizzare
Nostalgie di utopie mai realizzate
Nostalgie di balli in piena notte
Nostalgie di spensierati sogni
Nostalgie di Chopin
Nostalgie di spiagge e libertà
Nostalgie di cose da dire
Nostalgie di parole strozzate in gola
Nostalgie di fogli sporchi di pochi versi
Nostalgie di cose che accadono
Nostalgie di meraviglie e cose belle
Nostalgie di quando era facile
Nostalgie di un sentire perduto
Nostalgie di un pianoforte
Nostalgie di note dell'anima
Nostalgie di lasciar accadere
Nostalgie di sarebbe facile
Nostalgie di tempi senza paura
Nostalgie di fiori colti e da cogliere
Nostalgie di paesaggi in cui perdersi
Nostalgie di quant'era bello la sera
Nostalgie di tienimi stretto
Nostalgie di felici calici
Nostalgie di rapporti umani
Nostalgie di umani
Nostalgie umane.
Tacerò, ininterrottamente
lascerò che qui marcisca
ogni stupida idea, silenzio
ne sarò il Re, come Arthur
- mio gemello di sconfitta -
muri alti, impenetrabili
senza possibilità d'attacco.
Il processo di pace, Addio
armistizi: siamo in guerra!
Lontani! Lontani vi dico!
Invasori della mia terra
qui si spara, lasciatemi!
Non tentatemi, lontani
o tra le lacrime io sparo!
Io non conosco Amore
di che parliate non so,
Poesia? Fiori? Sbagliate
mai da questo cuore uscì
altro da violenza o guerra
dell'amor facciamo a meno.
Conosciamo i vostri giochi
rimuovere da noi difesa
è lasciar che si saccheggi,
ai vincitori il cuore, a noi
il dolore: conosciamo, via!
Via, pria che il sole schiuda
ai vostri occhi il volto stanco
fragile di chi porta il peso
d'una maschera. Già s'apre
lo spiraglio alla bontà, via
noi siam duri, siam soldati
non tremiamo ma colpiamo.
Colpo e fuga sotto viscere
frementi, la terra che trema,
un bel tramonto l'atomica
sganciata, i corpi son cenere
v'amai, un giorno, v'amai:
ora son soldato, dio di morte
bacio commosso le spoglie
vostre come mie, magari
nell'eterno giro ci vedremo
ancora, in un mondo nuovo
ci ameremo, ma non ora
non ora...
A volte siamo costretti ad essere ciò che non siamo
A volte essere veri, duri ma giusti, è come essere morti
A volte vedono in te la grandezza ma a nessuno interessa
A volte gli inutili barbari saccheggiano ciò che sarebbe tuo
A volte,
Sticazzi!
***
Dunque questo è il luogo di coatti, sbruffoni, arroganti? È dunque questo il luogo dove solo regna chi è stronzo? E quando sarà il luogo delle anime gentili ma inflessibili dei romantici, degli eleganti, degli umili, dei sapienti? Quando la bellezza vincerà sull'irriverente montatura? Quando saremo amati senza fingerci teste di cazzo? Questo è il mio gentil pugno: baciami le nocche! Così?
Io sono niente, meno di niente.
Sono un uomo che scrive, senza la presunzione di autovalutarsi bene; scrive perché sente di doverlo fare, di dover crescere col suo scrivere verso forme indefinite. A volte mi sento poeta, a volte rido di me per averlo pensato.
Sono un uomo che recita mille parti, sul palco e nella vita. Giorno dopo giorno mi guardo allo specchio e sono sempre diverso da quello ch'ero il giorno prima. Forse sono nessuno; solo a volte, qualche sera soltanto, quando si accendono i riflettori e questo mio corpo interpreta un personaggio, solo allora posso dire con certezza di essere stato qualcuno. Una sera....
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TEMPORALE
Ci fanno piccoli, in una piccola
irreale felicità
le nubi
che grandi e buie aumentano
portando vento ed elettricità,
venendo ad aggiungere lampi
ai video già guizzanti,
risalendo i prati bianchi
di un lungo giorno estivo -
Quel gran venire dà silenzio
alle mani che si tuffano e riappaiono
dalle tasche delle giacche
ed è più muto
e accelerato anche il sempre
del viavai:
le donne dentro di loro
risentono i bambini,
gli uomini risentono
le donne del passato, le nubi
sul capo danno nuova
memoria,
un brivido di serpe
nella colonna vertebrale.
Guarda le nubi sul mondo
e su questa piazza che dilata
dove tutto in fretta si disperde...
Restano i baristi sulla soglia
davanti ai tavolini vuoti
e alle sedie disordinate
a veder che battono i lembi alle tovaglie
e a scambiarsi, tranquilli, due cazzate.
Davide Rondoni Il Bar del tempo
Ugo Guanda Editore