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lunedì 15 marzo 2010

In punta di piedi


"Non dormivo, ma erano pensieri belli"

Sono entrato esitante nel tuo tempio Mia Dea
come entrai dalla finestra d'una tua vecchia dimora
percependo appena profumo di rose e velate beltà
quel poco che di te bastava a farmi inebriare.

Ai miei curiosi occhi sempre restava aperta
ogni tanto tornando lucidavi vecchi mobili
dallo specchio un'occhiata veloce diceva attento
lasciandomi ad osservar la polvere coprir le impronte.

Sono entrato quasi arrossendo al tuo cospetto
non mi fermai nemmeno un poco alla finestra
m'aspettavi alla porta e mi facesti entrare
avvertendo che ortiche fiorivano in giardino.

Sono entrato sradicando ortiche a mani nude
che nemmeno un poco si fecero rosse e dolenti
perché troppo, troppo rosso era il desiderio
ma tu le hai baciate ugualmente le mie mani.

Sono entrato esitante nel tuo tempio Mia Dea
trovai forza e coraggio ma dovetti ripartire
e tu Beltà vivente attraversando il giardino
-visto? una margherita è già sbocciata dicesti

di Matteo Di Stefano
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mercoledì 10 marzo 2010

Minima attesa in 4 versi


Respira intensamente questo sonno
misurerò da un vetro appannato quanto sia profondo
disegnando figure imperfette aspetterò che si spanni
non per pazienza ma perché ti capisco.

di Matteo Di Stefano
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lunedì 8 marzo 2010

Un lago una notte d'inverno


S'udiva il solo infrangersi delle onde
ritmato lieve cadenzato nella vallata
assopita in magie e silenziosi cristalli
prolungamento dell'incantato nontempo.
Il lago, una nera macchia solo udibile
fattosi specchio di gelide stelle d'inverno
inghiottiva sospiri fantasie corpi ansanti
frementi alla ricerca di braci ardenti
a tratti scintille appena visibili
a tratti fuochi inneggianti Apocalissi.

Spingevano in profonde eternità liquide
quel ch'era di quei moti luccicanti
giù, più giù, in-inviolabili segrete
mutandone l'esistere in brumose leggende
storie da custodire e narrare ai passanti
malinconici smaniosi dall'onde udirne i canti.

Non ricordo nemmeno se fosse ieri oggi
quando s'è passati dal giorno alla notte
dal buio alla luce d'un sole mercante
di tepore per trepidanti piedi intirizziti.
Si sono infranti i suoi raggi, su scudi
condensati e liquidi di vetri opachi
porte del tempo di dentro e di fuori
schermi al nulla per nulla insignificante.
E non è stata letta neanche una poesia
l'aria, intorno, n'era già colma a sazietà.


di Matteo Di Stefano
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lunedì 1 marzo 2010

Baliani e le favole


13 erano gli ingressi che mi restavano sulla mia carta teatro. 12 quelli che rimangono. Avrei voluto 11. Mi ero prefissato una giornata piena di teatro. Uno spettacolo alle 18.00 ed uno alle 21.00 al Teatro India di Roma. Entrambi di Marco Baliani. Il rpimo, Piazza D'Italia, adattamento di un romanzo storico di Antonio Tabucchi che la critica definiva imperdibile; l'altro una favola, un'ora di teatro di narrazione attraverso le avventure di Frollo, un bambino di pasta frolla figlio di due pasticceri senza figli in carne ed ossa. Una sorta di Pinocchio dei giorni nostri, ma per nulla scopiazzato. Tutt'altro. Ahimé, il primo era tutto esaurito, anche sulle mie amate scale. Neanche un posticino per uno smilzo come me. Fortuna che c'erano ancora biglietti per Frollo. Così, mi sono visto Frollo che inizialmente doveva essere l'extra della giornata. Parto sempre con notevoli pregiudizi quando si tratta di teatro di narrazione. Poi entre e in un attimo vieni catapultato in un mondo di fiaba. Lui, solo. Marco Baliani (lo stesso Baliani che vidi a "la notte delle lucciole") seduto su di una sedia a narrare senza mai alzarsi. Mimando, facendo smorfie, cambiando la voce, rattrappendosi, gonfiando il petto a seconda del personaggio che si incontrava. Tutto rigorosamente seduto. Per nulla statico e noioso però. Primo perché Baliani riusciva a trascinarti con la sua narrazione in un universo di fantasia; secondo perché vedere uno spettacolo di narrazione è un po' come leggere un libro. Così, si viene catapultati su una spiaggia, in una festa popolare, una pasticceria, si immaginano le facce dei personaggi, l'ambiente, gli odori, i colori. Però anziché leggere ascolti. Un movimento continuo, da un avventura all'altra del piccolo Frollo. Molto molto emozionante. Le fiabe ci danno molto. Forse, una volta grandi, dimentichiamo di raccontarci delle fiabe. Dovremmo farlo più spesso, perché non sono solo storie inventate da raccontare a dei bambini, ma piccole perle, insegnamenti da custodire. Le fiabe aiutano a crescere i bambini, ma sono scritte per i grandi. Allora ogni tanto facciamolo, prendiamo un libro e raccontiamoci una fiaba. Ci aiuterà a credere e immaginare un mondo diverso. Perché non è altro che questo una favola, la rappresentazione di una realtà diversa, migliore. Ci fa sorridere, ma anche sperare. Ed oggi di speranza ne abbiamo davvero bisogno.
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Intervento di autobenvenuto





Aprire la prima finestra di un nuovo blog è come entrare in una nuova casa. Dovrai fare amicizia coi nuovi vicini, abituarti ai rumori, gli odori della zona. Nessun problema di fondo se non come presentarsi. Ma forse saranno gli stessi abitanti della zona a farsi avanti, le amabili vecchine ti porteranno i dolcetti, le seducenti mogli annoiate ti inviteranno per un drink. Inizierai a far parte del quartiere poco a poco. Così è ovunque. Persino su una rete virtuale; così sarà per questi riflessi sfumati che altro non sono se non la parte più marginale, quel che di volta viene a galla di un fondo assai più ricco di pensieri, talvolta inesprimibile.

Voglio aprire un nuovo blog. Questo mi dicevo. Molti si specializzano, trattano un argomento in particolare. Anch'io ci ho pensato. Bene. Potrei parlare di teatro? Potrei pubblicare poesie? Parlare del più del meno di questi strani tempi o di altre cose, più o meno sensate che mi girano in testa? Come si fa, come si fa dico io a prendere una direzione chiara, netta, inevitabilmente lineare. Non sono mai stato troppo costante, e tra le tante cose che possono interessarmi una in particolare non riesco proprio a preferirla. Troppo curioso di scoprire, indagare lo spazio circostante in tutte le direzioni; meglio i riflessi, tanti, marginali, superficiali. Ciò che di volta in volta viene a galla, da se. Questo è tutto. O quasi. No, non tutto, solo una piccola parte.
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