(Nella foto I Teatranti di Sergio Nardoni)Scegliere di fare il teatrante nell vita è una mossa azzardata, un salto ad occhi chiusi nel vuoto. Non è un genere d'intrattenimento felice quanto la televisione, necessità di volontà e d'impegno, anche da parte del fruitore spettatore. Non c'è un divano a due porte dalla camera da letto, non c'è il telecomando, non c'è la possibilità di cambiare programma: se si è dentro si consuma l'intero spettacolo fino alla fine. La parola intrattenimento è fuorviante, sminuisce quello che è l'intera attività teatrale. Certo, può a volte aver la sola funzione di divertire, ma c'è nel teatro comunicazione, ricerca e riflessione sull'uomo e la vita, può essere veicolo di conoscenza e d'indagine su temi particolarmente sensibili. Il teatro è una complessa macchina che il più delle volte si muove in riserva: pochi soldi, poche soddisfazioni monetarie. Chi decide di farlo, lo fa per una ferma convinzione che il teatro sia uno strumento comunicativo superiore alle altre forme: più immediato, più stimolante per chi vuole riflettere, più "alto" rispetto a certi tipi d'intrattenimento che hanno puramente carattere commerciale. E' un impegno dicevo; non solo economico ma anche fisico: per lo spettatore significa spostarsi in città, faticare a trovare parcheggio, fare una fila al botteghino, mangiare prima o dopo la rappresentazione un boccone fuori casa. Il risultato poi, non sempre paga questo impegno. Spesso però, il fruitore di spettacoli teatrali è pienamente appagato; ci sono però altri tipi di pubblico, quello occasionale, quello composto dai conoscenti di un attore o regista, quello che va a teatro soltanto se invitato. Non ama molto le rappresentazioni, e questo forse più per una sorta di pregiudizio che per gusti personali. Se infatti tale individuo, notoriamente scettico e annoiato dal palcoscenico, potesse una volta scegliere uno spettacolo buono capirebbe che il teatro è tutt'altro che noioso. Anzi, può superare e supera tutte le altre forme. Rilascia energie e si viene risucchiati in un vortice di adorazione/amore che lega per sempre quello spettatore al settore del teatro. Non a caso gli spettatori sono abituali. Può capitare, certo, che per "colpa" di un amico qualcuno scopra il teatro e se ne innamori. Sono casi limite e limitati. Più diffuso invece è il fenomeno dei bucaioli: questi individui hanno un amico teatrante che li invita a tutti i loro eventi. E, se siete tra loro, è consigliabile non inventare troppe storie per dir di no. Il teatrante sa che la sua è una forma poco amata e sa, che per lo più le sue due date o poco più sono una seccatura. Soprattutto, il teatrante sa bene che s'inventeranno ogni sorta di scusa: fa parte del suo mestiere ricevere scuse. Perciò è altamente preparato in questo e capisce perfettamente che quel "mi dispiace ma" corrisponde ad un "non mi va ma non so come dirtelo". Bene, allora tanto vale essere franchi come disse un tempo un mio conoscente (evento che per anni ho rinfacciato, ma che adesso inizio ad apprezzare): - non vengo a vederti perché il teatro mi fa schifo.
In tutto questo non dico che il pubblico debba essere composto da conoscenti ma, soprattutto agli esordi, è difficile avere un pubblico stabile di spettatori fidati che ti segue soltanto per la tua bravura.
Credo che, rubare poche sere all'anno ad una persona sia un furto da niente. Davvero, è chiedere niente. Soprattutto perché non sono poi tante le sere di replica. Uno spettacolo ha una gestazione lunga e una morte fulminante: si consuma tutto in una sera. Mesi di prove si polverizzano in poche ore sulla scena. Poi più niente. Oppure, se sei fortunato, puoi fare nuove repliche ma il più delle volte non è così. Ed è una fatica che lo spettatore non immagina arrivare alla sera dello spettacolo: dietro ci sono tanti giorni di prove, tanti costi da sostenere e magari un lavoro che non si ama ma che permette di pagare le spese per andare alle prove. C'è tanto di quell'amore versato e che vorremmo trasmettere in quell'unica sera a quello spettatore che ha riposto fiducia in noi. Per questo non mi piace sentir campare scuse, per questo non amo, tra le tante cose, più di ogni altra cosa chi dice "la prossima volta". La prossima volta vuol dire altro sangue da sputare, altro sudore, altro amore da mischiare alla polvere. Perché è soprattutto l'amore e la passione a muovere, perché il più delle volte la ricompensa è assai minore dello sforzo prodotto. Ma è così; lo si fa per amore, e sarebbe felice quel teatrante veder fuori dai camerini almeno gli amici più cari oppure qualche conoscente ogni tanto. Sarebbe felice, di non sentirsi dire la prossima volta, perché non è un film che puoi vedere in Dvd quando vuoi o un picnic in una giornata di sole. E' l'emozione, lo sforzo di tanti mesi che si consuma in una sera: la prossima volta non esiste. Lo spettacolo inizia e muore nell'arco di poche ore, non ci sarà prossima volta. La prossima volta è il giorno stesso. La rinuncia è un'occasione persa che non si ripeterà più, o se si ripeterà non sarà comunque la stessa. Per questo, caro spettatore, ti dico di dirlo francamente. Conosciamo ogni tua scusa, ogni tua bugia: è il nostro mestiere raccontarti le tue bugie.
Alessandro Giova