giovedì 23 giugno 2011

100 post (più uno): io e Pessoa.

(nell'immagine: un quadro di Vladimir Kush)


Siamo affascinati dalle ricorrenze, stregati dai numeri, come se racchiudessero qualcosa di magico, qualcosa che possa raccontare più di quanto già non sappiamo. O forse sarà che un numero, un aggregato, una ricorrenza è un qualcosa che ci fa tornare alla mente il tempo, il tempo passato a levigare i nostri talloni, quello su cui ancora cavalchiamo. E' un insopprimibile bisogno quello di contare, dal momento in cui ci hanno insegnato ad oltrepassare il muro delle cinque dita. E' essenziale? Ammesso che non siamo proprio noi a dover scovare l'equazione del mondo, penso proprio di no. Eppure, quei numeri ci chiamano, ogni volta, perché ci hanno insegnato a contare: maledetti. Sono cento. Con l'ultimo post sul Teatro Valle Occupato, Riflessi ha partorito il suo centesimo post, nuova, ennesima ricorrenza: c'è stato il compleanno a Marzo, i 5000 visitatori ed ora i cento post. Come se tutto questo abbia davvero importanza per qualcuno, se non per colui che decide di condividere una parte latente del suo mondo. Un po' come si fa coi messaggi nella bottiglia, lì si lascia andare sperando che qualcuno li trovi.
E' nato senza pretese, con umile sfondo nero, senza troppi espedienti grafici. Un muro sul quale scrivere, un mare sul quale navigare in stanche ore notturne. 56 poesie, 26 articoli sul teatro di cui 7 recensioni. Un luogo che si è andato via via formando da quel primo timido approccio di benvenuto. Che poi, nessuno lo leggerà mai o se lo leggerà non avrà poi tanto senso dire "Ciao, sono nuovo!". In fondo, anche i messaggi in bottiglia sono così: sai quando li scrivi ma non sai quando arrivano. Se arrivano. Arrivo, arriviamo? Noi? Noi chi? Noi, io e Riflessi o noi altri? Noi, tutti quelli che si sentono in questo Noi. In fondo Poesia è anche condivisione di un percorso, momentaneo, un passo comune un istante. Poi, per quel che riguarda me, i miei versi non mi importa quanto siano poesia, ma buttarli giù mi fa sentire come liberato. Dove si va, mio caro Riflessi, mia cara... poesia? Da qualche parte. E che dire di quei 56 visitatori dalla Slovenia? Dove andate, cosa cercate? Andate e basta. Pensavo di scrivere degli obiettivi, che in termini di blog si misurano soprattutto con le visite ma... ma no, in fondo nasce così, come un messaggio nella bottiglia, non ha pretese di arrivare, solo di andare. E andiamo....

Per la "ricorrenza" pubblico due poesie, una mia ed una di Pessoa. Insieme perché ho scoperto che per un attimo abbiamo condiviso lo stesso sentiero, per un caso fortuito coincidente in un "Dove?". E sempre di andare si parla, di un qualcosa di mutevole che c'è nell'aria (che è sinonimo di anima), del più naturale processo umano che è quello del divenire. Ma nessuno sa dove, nessuno vuole saperlo: si va, e basta.

Buon Postiversario Riflessi.

SETTEMBRE

Ho perso il sonno
o mai l'ho avuto,
grugnisco, torno, spero
sul tratto esile...

Settembre, come mai
il tempo mio scade,
dei malandati anni
sulla tomba piango
- poi, rido, da un anno.

Tutto insieme, Settembre,
le rese, e i rinnovi, e
vuole essere
non meno del tutto.

- Non sostiamo, andiamo.
Dove? Basta andare.
Matteo Di Stefano

***

SOGNI ARDENTI DI QUALCOS'ALTRO!

Sogni ardenti di qualco'altro!
Frenesia di andare via,
(Oh, onda che in me si ingrossa!)
via dalla vita, dove la vita deve rimanere -
vita sempre fino a oggi!

Altre cose e altri luoghi!
Non una vita! Non la mia almeno!
Oh, essere il vento, un'ala,
un veliero che mi portino lì!

Dove? Se lo sapessi,
non ci vorrei andare.

tratta dalla raccolta






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lunedì 20 giugno 2011

E' dal contagio che può partire una rivolta culturale: Teatro Valle Occupato


Ci piace quello che sta accadendo a Roma. Dal 14 giugno alcuni lavoratori e lavoratrici dello spettacolo hanno occupato lo storico Teatro Valle, teatro in cui debuttarono i "Sei personaggi in cerca d'autore" di Pirandello e che scatenò l'ira del pubblico al grido di "manicomio, manicomio". Il Teatro Valle fu fatto costruire per uso privato del nobile Camillo Capranica (buonanima, avercene di nobili così) ed è il più antico teatro della capitale. La sua inaugurazione avvenne il 7 gennaio 1727 con la rappresentazione della tragedia Matilde di Simone Falconio Pratoli. Dal 1955 la sua gestione è stata affidata all'ETI, ente teatrale Italiano ed organo di riferimento per il teatro italiano, tragicamente scomparso a causa dei tagli nell'ultima finanziaria. Ora il Valle, che ha concluso la stagione il 19 maggio, è un teatro in cerca di autori, di stagioni, di vita: è al momento un sipario che rischia di rimanere chiuso. Un'azione necessaria, non soltanto perché parliamo del teatro più antico di Roma, ma perché tutta la cultura negli ultimi anni è stata messa da parte, soppiantata da "Tamarreidi", tv spazzatura, reality show. Dimenticata da un ministro dei beni culturali inesistente, che tuttavia non manca di dire quanto egli ami il teatro: un vero teatrante delle fanfare. Il teatro deve rialzarsi, deve riacquistare quell'importanza che ha per la vita culturale di un paese. Per questo l'azione volontaria dei lavoratori dello spettacolo non può che farci piacere. Il Teatro Valle diventerà forse un simbolo della rivolta silenziosa che filtra tra le maglie della società. Un piccolo tubo rotto nelle condutture di uno Stato anticulturale dalle quali filtrano tante goccioline benefiche e che vanno ad inondare i campi aridi. C'è l'auspicio che questa sia una piccola goccia pronta ad essere seguita da altre centinaia, migliaia di gocce fino all'ultima che fa traboccare il vaso. E proprio oggi, sulla pagina ufficiale del Teatro Valle Occupato si legge: "E' dal contagio che può partire una rivolta culturale". Sì, speriamo che sia così, speriamo in questo contagio; per una volta vogliamo evitare di vaccinarci e prenderci questa meravigliosa influenza chiamata teatro. Qualcosa si muove in questo magma; qualcosa che già avevamo percepito con il referendum. La società civile si muove; e quando qualcosa inizia a muoversi nel mondo della cultura davvero tira un vento buono, che ti fa venire voglia di correre in strada, urlando, cantando, di fare tardi a discutere di ciò che sarà, del futuro. Del futuro, non delle elezioni, perché ultimamente non c'è stato futuro se non chiuso in noi stessi. Il contagio, sì, è questo che vogliamo: cantagiateci. E' bello, è bello vedere tanta partecipazione. In pochi giorni sono passati sul palco del Valle oltre 100 artisti (tra i quali Germano, Camilleri, Franca Valeri per citarne alcuni), si sono contati circa 5000 mila spettatori e si sono svolte assemblee. Un momento vitale, un sussulto di un antico teatro costruito dal nobile Camillo Capranica per se stesso, un sussulto per tutto il teatro, la cultura, per un intero paese: sì, forza, Teatro Valle!

Pagina ufficiale su Facebook: Teatro Valle Occupato



COMUNICATO STAMPA LETTO AL MOMENTO DELL'OCCUPAZIONE:

"Siamo lavoratrici e lavoratori dello spettacolo, cinema/teatro/danza, artisti/tecnici/operatori, stabili, precari e intermittenti che da mesi portano avanti una lotta contro i tagli e per i nostri diritti in modo diretto ed autorganizzato.

In questi anni, di fronte all'arroganza delle politiche governative, le reazioni della categoria, dei sindacati e delle associazioni di settore sono state deboli e inefficaci.
"Com'è triste la prudenza" recita Rafael Spregelburd. Triste e in molti casi complice: le istituzioni che fanno prevalere logiche di profitto, scambi di poltrone, ingerenze partitiche e clientelari hanno ormai perso ogni legittimità come interlocutori.

Noi non vogliamo più essere complici. È con questo spirito che ci siamo mossi e che oggi occupiamo il Valle lanciando un appello a tutto il mondo della cultura e ai cittadini per sostenere questa battaglia: occupiamo il Valle per occuparci di ciò che è nostro.

Nel silenzio e nell’indifferenza questo storico Teatro rischia di chiudere. L'assessore alla cultura del Comune di Roma ha dichiarato che si impegnerà per la tutela del Valle e della sua identità. Queste rassicurazioni non bastano. Chiediamo trasparenza e chiarezza. Chiediamo che gli artisti e i professionisti del settore vengano coinvolti a livello progettuale e decisionale sul destino di uno dei Teatri più importanti d’Italia attraverso la creazione di una commissione competente.

Il Teatro Valle non è solo uno spazio prezioso da salvare ma un simbolo dello stato dell'arte in Italia. L’ultima finanziaria ha soppresso l’Ente Teatrale Italiano, mettendo a rischio le funzioni cui era preposto: promuovere e diffondere il teatro contemporaneo, sostenere la nuova drammaturgia e le nuove generazioni, incrementare scambi internazionali e la formazione.
Non siamo qui per difendere l'esistente, sia esso l'ETI o il sistema di finanziamento pubblico attuale, ma non rinunciamo al principio che il libero accesso alla cultura, ai saperi e alla creatività in tutte le sue forme, la libera circolazione di idee e individui, il potenziamento del pensiero critico siano un diritto imprescindibile di ogni cittadino e non un privilegio.
La demolizione sistematica delle risorse e dei beni pubblici è il cuore della politica culturale di un governo che azzera le buone pratiche esistenti, attacca gli spazi e le produzioni indipendenti, non svolge il proprio ruolo di tutela del patrimonio artistico, dismette e privatizza teatri, musei e luoghi di importanza storica. Una politica che ignora la questione dei diritti e del reddito per i lavoratori precari/intermittenti e mortifica competenze e talenti della nostra generazione.

Nell’anno zero della cultura siamo qui per denunciare lo stato di emergenza del nostro paese e la precarizzazione delle nostre condizioni di lavoro e di vita. È tempo che noi artisti, operatori e professionisti del settore ci assumiamo la responsabilità di decidere delle nostre vite, del nostro lavoro e dei nostri spazi. Dal basso e in prima persona. Per riprenderci ciò che è nostro, attraverso azioni e pratiche condivise.

Invitiamo il mondo della cultura e dello spettacolo e tutta la cittadinanza a prendere posizione e a confrontarsi con noi su una visione più ampia, oltre la difesa del proprio e dell'esistente e a farlo dentro il Teatro Valle occupato e in assemblea permanente. A difendere la possibilità di FARE cultura, e farlo al grado più alto delle nostre potenzialità."


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sabato 18 giugno 2011

Giving up smoking - Wendy Cope


(nell'immagine: Amore Senile di Alcibiade Cardanobile)


Non c'è di Shakespeare un sonetto
o di Beethoven un quartetto
che di te sia più facile da amare
o più difficile da scordare.

Pensi che sia bizzarro?
Non ho finito ancora
– mi piaci più di quanto mi piacerebbe
fumare una sigaretta.
Wendy Cope

Versione Originale

Giving up smoking

There's not a Shakespeare sonnet
Or a Beethoven quartet
That's easier to like than you
Or harder to forget.

You think that sounds extravagant?
I haven't finished yet –
I like you more than I would like
To have a cigarette.
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Il tuo mare


(nell'immagine: un'opera di Vladimir Kush)

siamo salpati
talmente in fretta
da dimenticarci la nave
(A.Bevilacqua)

***


Avrai il tuo mare calmo
la luna v'annegherà i raggi
ondeggianti come i pensieri tuoi
rigurgitante la macchia nera
ti parlerà, fraterna, ingenua
come il vagito d'un bambino.

Ha per te racconti di eroi
perseveranti nell'ora funesta,
la tempesta è grido dei sensi
il cuore ritrova coraggio
non ha vie di fuga il mare.

Avrai anche tu delle storie
piccole questioni irrisolte
perché da lasciare nella bottiglia
alla deriva, un infinito inspiegabile
e spuma, bianca spuma ridente.

Matteo Di Stefano

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giovedì 16 giugno 2011

Teatro Ygramul, piccola realtà teatrale e speranza nel Bronx San Basilio


Vengono i brividi pensando all'omicidio consumatosi nel quartiere San Basilio. Televisioni e giornali in questi giorni sono pieni di parole per il malfamato quartiere romano. Ci parlano di cronache e di omicidi, storie di droga e di gioventù allo sbando. Proprio oggi il Messaggero pubblicava un reportage riportando le testimonianze di chi quel quartiere lo vive ogni giorno: inseguimenti, bande criminali, giovani che in mancanza di prospettive si danno alla vita facile, quella che ti fa passare in mano i quattrini ma può, in un attimo, toglierti soldi e respiro. Tredicenni che girano coi coltelli, allucinati, pronti a tagliarti la gola per uno sguardo di troppo. Ragazzi in crisi, presto via dai banchi di scuola, bambini che passano dai calci ad un pallone nella polvere ai calci a se stessi nella melma. Come e quando quei bambini si sono trasformati in banditi? Stanno lì, nei quartieri bui, mentre macchine arrivano per ritirare la dose preziosa pronta a spalancarti le porte del mistero, a farti sentire meno solo, meno insicuro, meno tagliato fuori dal mondo perché, di fatto, di mondo te ne fai uno tuo. Stanno lì, fanno i pali, sei ore di lavoro per 50 euro puliti. Forse neanche si rendono conto della strada che stanno prendendo a quell'età. Sono giovani, fragili, impreparati ad affrontare la vita. Importa solo intascarsi quei soldi, sporchi certo, ma che almeno sono soldi e ti fanno stare tranquillo. Loro non lo sanno, ma una volta entrati è difficile uscirne. La gente racconta della paura: una signora dice che un tempo usciva a rimproverare quei ragazzacci sbandati. Oggi non lo fa più: è la paura a vincere. Quelli non scherzano, hanno coltelli e nulla da perdere. Roma e l'Italia precipitano, loro aspirano ad esserne i padroni. E' in mezzo a tutto questo che svolge la propria attività il Teatro Ygramul, una piccola realtà teatrale diretta da Vania Castelfranchi che vive a fatica, come ogni realtà teatrale, ma vive. Ed è bello sapere che, anche in quel di San Basilio, c'è spazio per il teatro, per la speranza. Perché di questo si tratta: speranza. Speranza che un palcoscenico, un popolo di maschere viva e rapisca almeno un'anima, che la sottragga al vortice, al degrado. Tante sono le attività organizzate dal Gruppo Ygramul, tra le quali anche un laboratorio per bambini. Un'attività, quella teatrale, che può davvero salvarti la vita, magari farti soffrire, piangere o non arrivare a pagare le bollette, ma che ti lascia aperta almeno la via del sogno. Non è detto che per tutti debba diventare un mestiere, ma ha almeno il pregio di toglierti dalla strada e stimolare le corde più nascoste. Tra le tante cronache nere, vorremmo qualche volta sentir parlare di queste cronache più liete, di persone che non hanno mollato e non mollano, anche quando la crisi ed il degrago consiglierebbero di chiudere per sempre la serranda. E' bello pensare ad una realtà sommersa come quella del Teatro Ygramul, ci piacerebbe che qualcuno ce la raccontasse, magari in un piccolo rettangolo a fondo pagina, come una luce nel buio. Magari, chissà, qualcuno sceglierà davvero una via diversa. Bisogna continuare a crederci, anche in un quartiere come San Basilio. Per questo la piccola realtà Ygramul va conosciuta, ma soprattutto sostenuta: perché non può che fare bene.

Maggiori informazioni sulle attività del Teatro Ygramul: www.ygramul.net

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lunedì 13 giugno 2011

Buongiorno Dama

(nell'immagine: un quadro di Vladimir Kush)

Che bello sarebbe svegliarsi
su una mongolfiera di nuvole

***

E campi
e cieli
e fiori,
e cascine solitarie
sul picco delle colline,
alberi intorno,
distese d'oro...

Matteo Di Stefano

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mercoledì 8 giugno 2011

Ingannarsi per gioco

(nell'immagine: "Libertà" di Ewelina Ozog)

***
credo che una poesia indedicata
rischi più facilmente di essere una superflua esibizione
(D.Rondoni)

***

Gli anni più belli
del furore ardente
dei viaggi, gli anni ostili
hai perduto della vita,
quando tutto può
cambiare, ancora,
e armeggi i giorni
come fossero ventagli.
Forte dei venti sfidi
le correnti, grande ala
dal vigoroso battito
e tutto può,
migrare.

Di qual ricatto perì
la libertina volontà?
Non di capricci s'è vivi
abbastaza da esser felici

e piangi ora, senza lune
le notti paiono prigioni,
trappola di sogni rigata
dal sale di troppe lacrime,
dello stesso tuo inganno
sanguini da carni lacere.

Vuoi rivolte, nuovi inganni
forse nell'aria svanire
chiedendo asilo ai Cieli d'Irlanda
ma più il tempo volgerà
nella cara anima tua gli anni;
- ed è morte ogni strattone
nuova, perenne disarmonia.

Matteo Di Stefano

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martedì 7 giugno 2011

Psicosi 4:48 di Sarah Kane al Teatro allo Scalo di San Lorenzo. 8-11 giugno 2011



Di nuovo Sarah Kane, di nuovo Psicosi 4:48, ultimo testo della giovane drammaturga britannica morta suicida nel 1999 ad appena 28 anni. Se ne sono contati almeno tre nel cartellone romano di quest'inverno. Questo sarà l'ultimo, almeno per questa stagione. Un testo che, per la sua forza, la sua scioccante carica emotiva, la lettura spesso complessa, si presta ad essere indagato e visto sotto prospettive diverse. Un destino che già racconta di sé un futuro da classico del teatro. Intanto ora lo scopriamo, una rappresentazione alla volta, di teatro in teatro. Questa volta sarà al Teatro allo Scalo, in una veste certamente sperimentale e anomala. Il giovane regista romano Federico Ruscito incuriosisce già per la scelta di far recitare il famoso monologo a ben tre interpreti, di cui uno uomo. Anche le immagini dello spettacolo (e il trailer) suggeriscono una lettura nuova, come se questo fosse già un testo abusato e scaduto ormai nella convenzionalità. Forse un po' lo è. Per questo bisogna ricercare nuove forme. Un teatro quello di Ruscito fatto soprattutto di immagini penetranti, di energia, di corpo. Elettricità, sul palco e in sala, libera spesso dalle parole, slegata dal suo naturale vettore per stamparsi nella mente dello spettatore come immagine pura, silenziosa, tesa, che colpisce con nettezza. E netta è, anche, la parola fendente del testo. Testo e immagine si incontrano su un palco, rivaleggiando, per poi morire, insieme, alle 4.48.

"Se anche l’atto di agire fosse preda della follia?"
Sarah Kane


PSICOSI 4:48
Di Sarah Kane

Regia Federico Ruscito
Con Elisa Ciocca, Luisa Belviso, Andrea Carpiceci
Musiche di scena originali di Damiano Baldoni
Ass. Cult. OPUS in Fabula

Vedi il trailer
www.uroborosteatro.it

da mercoledì 8 a sabato 11 giugno - ore 21.00 -
al Teatro allo Scalo, Via dei Reti 36, San Lorenzo, Roma
www.teatroalloscalo.it
info e prenotazioni: 3406485291 - 0683602282
Prezzo del biglietto: 11 euro + 2 euro tessera associativa


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giovedì 2 giugno 2011

By the Round Pound - Wendy Cope

(nell'immagine: La Promenade di Claude Monet)

Guardi te stessa. Ed anche chi ti guarda.
Uno spettro sul muro del giardino.
Uno è lo spettro e l’altra, sì, sei tu –
sempre che entrambi esistiate davvero.

Che strano esser qualcuno dietro un volto,
avere un nome e sapere che è il tuo,
trovarsi in questo angolo di verde.
Una chiocciola osservi: avanza e sosta.

Tu stai seduta, e ti domandi quieta
fino a quando. Ti muovi? No, rimani.
Ignoto è il tessitore dell’ordito.
Scivola via un minuto dopo l’altro.


Original Version

You watch yourself. You watch the watcher too-
A ghostly figure on the garden wall.
And one of you is her, and one is you,
If either one of you exists at all.

How strange to be the one behind a face,
To have a name and know that it is yours,
To be in this particular green place,
To see a snail advance, to see it pause.

You sit quite still and wonder when you'll go.
It could be now. Or now. Or now. You stay.
Who's making up the plot? You'll never know.
Minute after minute swims away.


Traduzione di Silvio Raffo


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mercoledì 1 giugno 2011

L'angoscia del giorno

(nell'immagine: Soft Construction with Boiled Beans di Salvator Dalì)

Ho il suono sordo delle cantine
svuotate, l'umido tanfo del mosto
aggrumato sui fondi, inaridito
sulle pareti dell'inconsistenza.

Melma, vomito di me stesso,
riluttante riflesso agonizzante
e sempre d'un fremito vacillo
provo: ma non c'è esistenza, oggi.

Terra, nuda terra ch'io vorrei
mia compagna di quiete, sorella
asciughi tu quest'umido sospiro
che più non ha odor di vino.

Nel volo d'un passero insegue
lo sguardo un sogno di libertà
ma ricade, sempre, tra vuoti tini
dove il mosto ora sa di morte.

Matteo Di Stefano


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