sabato 30 maggio 2015

I magnifici 7: 7 film in 7 giorni. Aspettando il Cinecittà Film Festival

"Rubiamo" direttamente dal profilo facebook del Cinecittà Film Festival (CFF) questo evento e per proporlo a voi naviganti. CFF è un festival del cinema gratuito, autogestito e autoprodotto da Cinecittà Bene Comune contro il piano di cementificazione di Cinecittà Studios. 

Aspettando Cinecittà Film Festival: I magnifici 7 è un evento cinematografico lungo 7 giorni, una settimana piena piena di film che saranno proiettati in 7 luoghi diversi significativi per il nostro territorio (il VII Municipio).
I magnifici 7 sono non solo l'occasione per lanciare pubblicamente il CFF ma anche l'opportunità di fare un po' di cassa per poterlo realizzare (il CFF partirà il 9 luglio per concludersi il 12 e sarà completamente gratuito, autoprodotto e autofinanziato). Infatti, tranne che nella Biblitoeca Raffaello, l'ingresso ai magnifici 7 avrà una sottoscrizione minima di 2 euro. 



PROGRAMMA:

☞ 8 giugno, h. 18.00: GRAN BUDAPEST HOTEL di Wes Anderson (2014) presso l'ex Mediateca Rossellini, piazza di Cinecittà 1 

☞ 9 giugno, h. 18.00: GRAVITY di Alfonso Cuarón (2013) presso la Biblioteca Raffaello, via Tuscolana 1111 

☞ 10 giugno, h. 21.00: BELLUSCONE. UNA STORIA SICILIANA di Franco Maresco (2014) presso SCuP, via della Stazione Tuscolana 84 

☞ 11 giugno, h. 18.00: L’AMORE BUGIARDO / GONE GIRL di David Fincher (2014) presso la Sala Rossa del Municipio VII, Piazza di Cinecittà 1, IV piano

☞ 12 giugno, h. 21.00: MEDIANERAS di Gustavo Taretto (2011) presso la Casa delle Donne Lucha y Siesta, via Lucio Sestio 10 

☞ 13 giugno, h. 21.00: INTERSTELLAR di Cristopher Nolan (2014) presso la Sede del Comitato Spontaneo di Via Eudo Giulioli 

☞ 14 giugno, h. 21.00: STORIE PAZZESCHE di Damian Szifron (2014) presso il Rudere di via Sagunto
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Rassegna Estiva al Kopó | Il Teatro che non va in vacanza

Dall’11 giugno al 19 luglio il teatro Kopó di Roma lancia la sua seconda Rassegna Estiva di spettacoli teatrali, intitolata Il Teatro che non va in vacanza. Dopo l’esperienza più che positiva della scorsa estate e soprattutto dopo una stagione invernale di grandi successi, con spettacoli puntualmente sold out, il Kopó propone al suo pubblico, sempre più ampio e sempre più affezionato, un cartellone estivo composto di 5 spettacoli che si dipanerà nell’arco di 5 settimane. Come sempre, le pièce saranno precedute, a partire dalle 20, da un aperitivo gratuito offerto agli spettatori dal cordiale staff del teatro. Dal giovedì alla domenica gli amanti del palcoscenico non saranno più orfani della città svuotata e sapranno dunque dove recarsi. Latmosfera rilassata, la vicinanza alla metro, la convivialità di un aperitivo con e tra amici prima dello spettacolo nonché gli ambienti freschi e climatizzati contribuiranno infatti ad allietare le serate a teatro dei romani. D’altronde, gli spettacoli prescelti per la Rassegna sono divertenti e leggeri senza rinunciare in alcun modo alla qualità che contraddistingue le scelte artistiche del Kopó. Attori giovani e di grande talento faranno ridere, riflettere e commuovere il pubblico.

L’11 giugno ad aprire la Rassegna, con quest’unica data, ci sarà il giovane attore Simone Saccucci col suo RocceSpineStreghe uno spettacolo ispirato all’antica tradizione degli stornelli romani. Storie e canzoni costruiscono un racconto corale e ricco di umanità delle periferie della Città Eterna. Dal 12 al 14 giugno andrà in scena Amore mio ti odio con Angelo Sateriale e Claudia Mariani, per la regia di Claudia Mariani. Un tranquillo ménage familiare turbato da un incidente domestico a seguito del quale il marito perde la memoria innesca una crisi di coppia che porterà a rivelazioni sorprendenti, gelosie, rancori e fraintendimenti. Dal 18 al 21 giugno il divertimento è assicurato da Meteoropatiko di Stefano Santomauro, attore livornese, alle prese come molti italiani con la meteoropatia. In una grande sala d’attesa conosceremo il Sig. Anti, l’Anticiclone delle Azzorre. Dal 2 al 5 luglio tornano al Kopó Lisa Moras e Michele Vargiu della Compagnia dei Cardini con Coppia aperta quasi spalancata, uno spettacolo straordinario targato Dario Fo e Franca Rame. Cosa succede ad un matrimonio quando la coppia si apre anche dal lato della donna? Dal 9 al 12 luglio e dal 16 al 19 luglio, il Kopó ci mette lo zampino con Coppia che scoppia, una produzione propria liberamente tratta da Due di noi di M. Frayn e già molto apprezzata dal pubblico. Con Francesca Epifani, direttore artistico del Kopó, e Giuseppe Arnone, giovane attore siculo membro dello staff del teatro, vedremo le storie divertenti e paradossali di tre coppie alle prese con problemi e frustrazioni.

Per accrediti giornalistici e informazioni, potete rivolgervi a             

Ufficio Stampa Teatro Kopó
Pasquale Musella
Mob: + 39 3331843295
 
Via Vestricio Spurinna, 47/49 Roma
Metro A Numidio Quadrato

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giovedì 28 maggio 2015

Se cadere imprigionare amo | Recensione

Il 21 maggio, presso il teatro dell’orologio di Roma, all’interno del festival inventaria, è andato in scena, nella sala Moretti, lo spettacolo scritto e diretto da Andrea Cramarossa, Se cadere imprigionare amo. Sulla scena Isabella Careccia, Silvia Cuccovillo, Patrizia Labianca, Federico Gobbi,  Domenico Piscopo. Audio e luci Vincenzo Ardito.

Corpi, solo corpi. Corpi abbandonati. Corpi imprigionati. Corpi  che abusano e vengono abusati. Corpi in assenza di corpi, vuote casse di risonanza.  Corpi che con i loro tic riempiono lo spazio scenico nella sua tridimensionalità. Ogni tic è abbinato ad un moto corporeo che segue, ogni tic ha una propria direzione, un proprio ritmo, che va a confluire in un ritmo comune creando una partitura musicale che ipnotizza. Un eccesso di moto che diventa al contempo assenza di moto. Un mondo dove tutto succede e niente succede. Una fiaba al contrario dove tutto procede per sottrazione e nulla vi può essere aggiunto. Un viaggio verso una fine ineluttabile, l’unica possibile, l’azzeramento del sentire. Un mondo dove la funzionalità dei propri corpi viene ridotta al minimo. Una metamorfosi verso la decadenza. Occhi che non sono i loro occhi, mani che non sono le loro mani, corpi che non sono i loro corpi. Occhi imprigionati in delle bende-celle che prendono le sembianze di occhi, occhi di insetto. Mani che usano delle protesi di mani a cui traferiscono la loro funzione. Mani che si moltiplicano, mani che diventano zampe. Corpi che non si appartengono.  Un mondo dove la purezza non può sopravvivere. Una madre e quattro figli, una madre che abbandona. Una madre che imprigiona se stessa e i propri figli in un mondo altro da cui non si può spiccare il volo. Un mondo di catene e di assenze. Corpi, solo corpi.

Francesca Cipriani


SE CADERE IMPRIGIONARE AMO
scritto e diretto da Andrea Cramarossa
prima nazionale
interpreti Isabella Careccia, Silvia Cuccovillo, Federico Gobbi,
Patrizia Labianca, Domenico Piscopo

visto al


Teatro dell’Orologio – Sala Moretti
Via dè Filippini, 17/a, - Roma
21 maggio 2015 ore 21.30
nell’ambito del Festival "Inventaria"
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La via del ritorno...

Sulla via del ritorno, memorie asfaltate; e riflessi. I sensi acuti catturano l'ambiente, il peggio che possa capitare alla tua anima. Una fluttuazione solitaria e tutto è nostalgia. In ogni sguardo, in ogni smorfia, in ogni respiro. E tutto è poesia, tutto è devastazione emotiva. Quell'uomo pieno di tic, con quelle movenze bizzarre, macchiettistiche. Guardi non visto, assente, momentaneamente al di sopra di tutto. Un povero attore costretto a rivedere i suoi canoni: "troppo teatrale". E tutto intorno invece è più teatrale della teatralità stessa. La vita è innaturale. La vita è una sensazionale divagazione di anime, di storture, di malformazioni mentali, di strade che franano dando a corpi e volti espressioni fuori dal normale. E tu, tu citi un ricordo, rovesciato da chissà quale cassetto. Si contorce l'anima di fronte a due paia di labbra che si sfiorano; ne osservi bellezza e orrore insieme; tu solo. Brutto essere osservatori estremi, captare ogni singolo getto d'umanità, assorbire in sé fiumi di vita, amalgamarla, sezionarla e archiviarla ordinatamente, può sempre far comodo un ricordo. Sono attimi, puoi farne ciò che vuoi, puoi renderli infinitamente grandi, il resto sarebbe poco interessante: ordinaria amministrazione. Un pezzo qua, un pezzo di là, pezzetti di realtà che compongono un puzzle che a suo modo produce una musica. Ed è forte, perché a ciò che manca rimedia la fantasia, più vivida e forte di qualunque scontata realtà. La realtà fa schifo, uno schiaffo alla magia. Se potessimo vivere solo nei sogni? Realtà, sempre realtà, cruda, bastarda, penosa riproduzione di gesti. L'arte, la letteratura, i film ci hanno impestato l'anima e noi sognamo. E se la realtà non diventa un sogno, il nostro compito è inventare sogni, come il sognatore dostoevskiano, per il quale un minuto può bastare a riempire la vita: se vi fosse stato un giorno invece? Una settimana? Un mese? Un anno? Mio caro, tanta realtà non basterà a raggiungere la grandezza di pochi secondi di sogno. Un ubriacone riempe la strada di berci immondi, ciondola e per lui è tutta colpa dell'Ecuador. Un tale su una panchina lo chiama, ha un cartoccio. "E' per sopravvivenza", dice. "Mangia, devi dare benzina allo stomaco sennò impazzisci". Questa è il massimo d'umanità che mi è capitato di raccattare tra i mostri quotidiani, dalle forme stropicciate delle loro costruzioni. Nevrosi. Quasi piangi a sentirli parlare, a vedere quei due avanzi di vita condividere un pasto di fortuna, fraternamente. E' un devasto questo sogno che mi assale, questo sogno chiamato esistenza. A me toccò d'aprire varchi nell'aria con la mente ed essa sempre mi fu ostacolo alla fratellanza. Io non vivo, io non esisto, io personaggio immaginario. Tenerezza. Brutalità. Se solo ci fosse un'anima che sappia riprodurre i più alti slanci del mio fantasioso cuore. Compagni di volo. Ma è solo aria, solo respiro che si perde. E amo e odio tutto e tutti.
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martedì 26 maggio 2015

Eventi: Concerto GMV BAND a sostegno del Cinecittà Film Festival

Diamo comunicazione di questo importante evento:

"Dopo una lunga pausa dalle scene e in esclusiva per sostenere il Cinecittà Film Festival - CFF torna, con un fantastico e imperdibile concertone, la GMV Band!

Sabato 30 maggio
ore 22.00
presso il Csoa Spartaco in via Selinunte 57

ingresso 3 euro
(ma se ci lasciate qualcosa in più non ci dispiace!)

L'incasso sarà completamente devoluto alla costruzione del Cinecittà Film Festival"
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Insieme da Soli | Spettacolo di teatro acrobatico

Due corpi volteggiano nell'aria, nessuna parola, un dialogo silenzioso attraverso una danza aerea di due corpi in continuo avvicinamento/allontanamento. E' andato in scena al Teatro Furio Camillo dal 22 al 24 maggio "Insieme da Soli", spettacolo di teatro acrobatico della Compagnia Materiaviva Perfomance, una compagnia nata nel 1992 da variegate esperienze artistiche, la quale unisce varie forme espressive, dal teatro alla danza, all'arte cincense a quella di strada. La performance artistica di e con Roberta Castelluzzo e Luciano Capasso, racconta la storia - o non storia - di un uomo e una donna, o meglio due entità corporee, sospese a mezz'aria, unite e divise. Due corpi che si cercano ma che tuttavia rimangono sempre soli nei loro virtuosi aneliti verso il cielo. L'acrobatica aerea è una disciplina affascinante, faticosa e, agli occhi di un profano, può sembrare persino molto pericolosa. Una componente di pericolo c'è, ma grazie al duro lavoro, al perfezionamete della tecnica il rischio si riduce progressivamente. Rimane il fascino, il fascino di due corpi equilibrio di nervi e muscoli, tesi eppure eleganti nelle loro aeree rappresaglie. Peccato sia un genere di cui si parli poco, perché il suo potenziale espressivo è davvero notevole e spesso al pubblico mancano gli strumenti essenziali per poter apprezzare nel suo complesso il lavoro. Dunque che resta? Resta l'emozione, quella pura, spogliata dal linguaggio parlato, immersa in una forma più ampia di dialogo, universale, come il corpo. Spesso l'esperienza di questi linguaggi ignoti arriva molto più ad essere apprezzata proprio dai profani, perché la si può cogliere nella sua essenzialità. E proprio di quell'essenzialità siamo andati a caccia, avidi cercatori di un'esperienza che ci aprisse la porta di un sogno proibito. Ma lo spettacolo "Insieme da Soli" si colloca in una posizione ancora distante dal risultato sperato. Si è tentato di raccontare, ma l'emozione non ci ha travolto come un'onda possente, abbiamo sentito un gran boato ma la luce che si è sprigionata era un fuocherello che non è divampato del tutto. L'emozione resta a terra, mentre i corpi agili e forti si librano prendendo le distanze da quella terra ferma su cui è rimasta a languire una storia che non ha preso il volo. La volontà del gruppo di superare il semplice virtuosismo tecnico si è spenta in un'evoluzione troppo ovattata e lenta, c'era la qualità tecnica - notevolissima quella di Luciano Capasso - ma mancava il colore, ed è mancato un punto di contatto concreto tra narrazione e le doti acrobatiche degli interpreti, troppo sfilacciate e slegate, pertanto non si è creata quella sintesi artistica che permettesse al lavoro di sviluppare un'autentica drammaturgia dei corpi. 

Un lavoro certamente non facile se si pensa che certe forme artistiche vanno avanti soprattutto per l'amore di pochi, pertanto in primo luogo viene a mancare lo scambio e confronto artistico sul territorio che sempre permette un arricchimento della ricerca espressiva, e in secondo luogo probabilmente anche le condizioni economiche non consentono una totale devozione al lavoro - ma questo è vero un po' per tutte le forme artistiche nella nostra Italia contemporanea. Anche per questo servirebbe più sostegno da parte di enti pubblici e pubblico, per consentire agli artisti di fare gli artisti a tempo pieno e poter approfondire i propri lavori con sempre maggior minuzia e qualità dei risultati. Per ora affidiamo i nostri cuori a degli artisti solitari, impegnati a scalare l'invisibile corda dei sentimenti popolari/istituzionali distrattamente addormentati con la sola forza del loro impegno, del loro sudore, del loro amore. L'arte e gli artisti meritano più rispetto.

Matteo Di Stefano
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domenica 24 maggio 2015

SottoSopra - perchè ho più diritto di te di suicidarmi #INVENTARIA2015



Il tetto di un grattacielo forse un po' troppo affollato una sera di un Capodanno qualunque.
Così inizia "SottoSopra - perchè ho più diritto di te di suicidarmi", scritto e diretto (oltre che interpretato) da Marianna Esposito ed andato in scena il 23 maggio 2015 (prima romana) al Teatro dell'Orologio all'interno della rassegna teatrale INVENTARIA (V edizione).
Uno spettacolo a tratti fresco e divertente che, però, in alcuni momenti lascia un po' perplessi. Un'oscillazione tra senso e non-senso e una voluta e, forse troppo forzata, ricerca di linguaggio e gesti scenici; i quali in realtà non hanno nulla a che fare con ciò che viene detto (il che, in sé, non sarebbe un problema), ma non regalano nulla di nuovo alle situazioni e non completano la descrizione dei personaggi.
Tutto rimane un po' sospeso. Forse era questo il tentativo della regista: lasciare i propri personaggi fluttuare nei loro problemi tra passato e futuro e non dare loro una vera e propria risoluzione (in fondo sono suicidi...sono abituati a scappare, non ad affrontare le difficoltà).
Tutto si gioca sopra ed intorno a questa impalcatura al centro dello spazio, la quale diventa simbolo universale di casa/grattacielo/letto/pulpito.
La messa in scena non sembra molto curata nei dettagli, gli attori spesso si muovono in modo confuso, senza una vera direzione interna ed esterna. La scenografia spoglia (che io, in realtà preferisco), non ha dietro una vera e propria idea ed una motivazione, ha oggetti sparsi che sembrano richiamare la casualità delle cose (era questo l'obiettivo? Anche questo non è chiaro).
E' evidente, inoltre, come la regista sia anche uno degli attori la quale, infatti, li guida letteralmente nei movimenti, a volte li sposta affinché prendano le posizioni giuste e le luci ed, in modo molto evidente, "supervisiona" tutti i cambi di scena senza che vi partecipi realmente.
Ma in questa "confusione", ci sono stati degli sprazzi di bellezza che mi hanno fatto letteralmente tremare: l'uso del palloncino come personaggio (CHAS), il modo in cui sono riusciti a farlo "parlare" con gesti e soprattutto suoni, è stato per me geniale.
Il personaggio più riuscito e anche meglio scritto è quello di Martin (il primo che vediamo in scena). Risulta il più completo e con un carattere irriverente. Non ha paura di dire quello che pensa, un po’ per il lavoro che fa e un po’ perché non ha più nulla da perdere. Si diverte a bisticciare con la più piccola Jess (figlia apparentemente solo capricciosa di un importante politico inglese), creando i siparietti più divertenti di tutta la pièce, ma anche quelli che permettono una vera evoluzione della storia.
Nel complesso un bel tentativo di spiegare le piccole-grandi sconfitte che affliggono l'animo di giovani e meno giovani e di come basti in fondo un po' di comprensione e di condivisione al momento giusto per capire che al mondo "c'è di peggio".
L'accettazione delle proprie difficoltà è il passo più importante che un uomo possa fare nel rispetto di se stesso e della propria vita. Spesso ce lo dimentichiamo ed abbiamo bisogno di altri tre personaggi borderline come noi, incontrati un Capodanno qualunque sul tetto di un grattacielo, l'attimo prima che sia "troppo tardi".
Tea Milani
SottoSopra 
perchè ho più diritto di te a suicidarmi 

scritto e diretto da Marianna Esposito
con Ettore Distasio, Marianna Esposito, Claudia Ciuffreda, Davide Rustioni
assistente alla regia Stefania D'Ambrosio

visto al

TEATRO DELL'OROLOGIO
via dei Filippini 17/a, 00189 - Roma
 biglietteria@teatroorologio.com o 06-68.75.550

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giovedì 21 maggio 2015

E se l'incubo vero fosse svegliarsi? | La collezione - Recensione

Entrare al Teatro InScatola è già di per sé un passo che mette inquietudine: una sala sviluppata in lunghezza, il nero dominante, vie di fuga che sembrano scomparire e pareti strette che danno l'impressione di potersi muovere schiacciando chi vi è dentro. Appunto, una scatola, e noi tanti piccoli topi da laboratorio pronti ad essere sottoposti all'esperimento che degli artisti-scienziati si preparano a mostrarci misurando le nostre reazioni allo studio effettuato. Un qualcosa di spaventoso, come le tre sagome impercettibili immobili sul fondo del palco. E poi il buio, il buio che si protrae finché quelle figure si staccano dall'oscurità creando luce. È iniziato l'incubo di Vera, è iniziata "La collezione", l'accattivante spettacolo diretto da Davide Sacco, nato da un'idea di Eleonora Gusmano e Ania Rizzi Bogdan, prima come corto, sviluppato poi integralmente assieme a Ilaria Ceci. Lo studio che il collettivo ci presenta è un concentrato di sperimentazioni, ricerche stilistiche, sceniche e corporee, di nevrosi fisiche, di ripetizioni mute e assordanti.

Vera è una bambola, Vera è una prostituta, Vera è figlia e amante, Vera è bambina e adulta, emotivamente infantile ma sessualmente matura; Vera è una donna, ma anche tutte le donne. Porta l'amore: ciò cui assistiamo è l'incubo della notte precedente a un aborto. Un lungo viaggio in un'ambientazione di luci fredde, di zone d'ombra, di verità e fantasie confuse nelle speranze, nelle lotte psicologiche, nelle frizioni violente con una figura femminile che domina, oscura, le ombre e le luci di Vera, la quale è al tempo stesso torturatrice, madre e qualsiasi altra forma l'incoscio decida di plasmare. Attorno a loro, una figura di uomo ruota come un satellite, narrando una fiaba, il mito di Amore e Psiche. Il tono di voce è rauco, tenebroso, d'una lenta tensione minacciosa, ambiguo calore di "padre" e "protettore". Viene voglia di scappare dalla sala urlando come in certi incubi, ma non ricordiamo quando ci siamo addormentati e perché viviamo ora l'incubo di Vera. I peggiori sogni sono quelli da cui non riesci a svegliarti - o fai da sveglio? - e fino in fondo siamo costretti a calarci nelle viscere dello spettacolo per coglierne paure, berne le ferite facendo i conti con un'amara verità: l'unica che giudichiamo è proprio Vera - a suo modo pura - la sola su cui versare il disprezzo di una vita che avrebbe potuto "anche portare cose belle". Come "la tratta delle bianche", la vera prostituzione, la colpa sociale cade sempre su chi vende e mai su chi le obbliga a vendere.

Il lavoro è davvero molto articolato, tante sono le chiavi interpretative, tante le porte che si possono aprire, come tante sono le combinazioni di Vera che si possono formare dai cubi luminosi raffiguranti ognuno una lettera del suo nome, ognuno contenente un sogno buono e uno cattivo. Certamente impressiona e strugge, ma di non facile lettura per un pubblico profano. Tanti aspetti possono ancora maturare, alcune parti di testo forse snellire e pulire di certi "fronzoli" descrittivi tesi a spiegare cose già apprese dall'azione o manifestate dall'emozione e, forse, qualche emozione è stata spinta frettolosamente verso "un crescendo" ma avrebbe potuto invece portare a espressioni più intriganti: ma sono briciole in confronto alla forza del lavoro visto nella sua interezza. La scenografia, fiore all'occhiello, un cardine imprescindibile: la scelta di non avere rinforzi luminosi e lasciare come unici punti luce quattro cubi e quattro pali a neon ha conferito alla scena la giusta atmosfera e mobilità. I fuochi d'attenzione non si concentrano in un punto, ma si moltiplicano lasciando ogni spettatore libero di fare un percorso personale talvolta trascinandosi spesso verso un'attenzione ipnotica su particolari aspetti. E tutto il resto? Svanito, dimenticato. Come i sogni, materia imprevedibile, informe, a volte lacerante. E noi vorremmo svegliarci; oppure no. Ammesso che stiamo davvero dormendo.

Matteo Di Stefano

LA COLLEZIONE 
da un’idea di Eleonora Gusmano e Ania Rizzi Bogdan
scritto da Ilaria Ceci
regia di Davide Sacco
con Matteo Canesin, Eleonora Gusmano e Ania Rizzi Bogdan
scenografia Gaetano Verde 
costumi Valeria Leonenko

visto al

TEATRO IN SCATOLA
Lungotevere degli Artigiani, 12/14
Info e prenotazioni: 3482208607 - focus2_2014@libero.it

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lunedì 18 maggio 2015

L'ultimo volo di Dean

Facce funerarie, abitudinarie, inerziali. La quotidianità smorta che ti passa davanti senza neanche accorgersi della tua esistenza, scossa da un segnale sonoro tra una fermata di metro e l'altra. Ogni giorno un déjà vu che si ripete, incessante, un ronzio d'assordante silenzio che logora e scava una galleria dentro di te. Questa esistenza monotona che talvolta sbandieriamo al grido di "Vita!". Il dono più grande, il più grande brivido, la vera emozione. Ma è così davvero? Quei volti dicono il contrario mentre timbrano il cartellino del disavanzo emozionale, mentre passano una carta per lenire l'animo e dare un senso al sudore, tutto in ordine: il posto fisso, la casa, tanti oggetti e una confortevole comodità. Non nei vostri occhi, non un'emozione, non un'adrenalinica scintilla che accenda un passante avido e curioso. Eppure subito pronti a salire in cattedra, con lo scettro della morale teso verso il cielo a gridare che "l'emozione più grande è la vita". Bugiardi! Emozione è ben lontana dall'essere una parola a voi familiare. Da quello stesso cielo un uomo scendeva a gran velocità, un uomo danzava sul filo dell'incoscienza, dell'incomprensibile ricerca di un fremito, una scommessa: si vince per ora o si perde per sempre. Giocare con se stessi, con la propria vita al fine di tagliare il traguardo dell'adrenalina, avere affrontato il pericolo ed essere sopravvissuti, aver visto il mondo da prospettive inaccessibili alla maggior parte degli umani.

E mentre si aprono e chiudono le porte di quei serpentoni meccacini che fagocitano gente, sfogliamo il giornale e leggiamo di Dean Potter provando ammirazione, rispetto, forse anche invidia per avere avuto il coraggio di provare delle sensazioni che un luna park non riuscirà neanche lontamente ad imitare (ma che tuttavia forniscono un surrogato commerciale, accessibile e sicuro all'adrenalina autentica); e ovunque tu sia, Dean Potter, ti ringraziamo perché ci insegni una cosa fondamentale nella vita: fare ciò che ci dà emozione e piacere, fare ciò che voglioamo e amiamo. Ce ne dimentichiamo spesso e diventiamo schiavi dell'abitudine, della noia, del lavoro, della confortevole mediocrità delle nostre vite in putrefazione. Insegnaci a volare Dean, lungo i costoni di roccia dei nostri sogni più proibitivi; aiutaci a sconfiggere il tabù della parola "morte" e insegnaci come sposare l'incertezza; a capire che non ci serverà a niente vivere a lungo se non ci assumiamo il rischio di cadere in digrazia; che la strada verso la pienezza di se stessi è come un filo teso tra due canyon.
M.d.S.



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domenica 17 maggio 2015

I COLORI DELLA PERIFERIA – Roma Tre Film Festival (X edizione)

Martedì sera passo davanti al Palladium (Piazza Bartolomeo Romano, 8 – Garbatella). Inciampo in un gruppetto di giovani e meno giovani che stanno aspettando. Decido di fermarmi ed entrare. 

 Prendo una brochure e scopro che quel gruppetto di persone aspetta l’inizio della serata d’apertura del Roma Tre Film Festival – X edizione. 

Resto, sono curiosa. 

La serata si apre con un documentario di Flavia Montini, “Come un castello” (2013), che parla delle difficoltà di chi vive in una periferia di una grande città come Roma, completamente abbandonata a se stessa. Il cortometraggio-documentario in 13’ minuti cerca di spiegare quanto Tor Sapienza, nello specifico il plesso di Viale Giorgio Morandi, sia stato abbandonato al degrado in questi anni e di come le tensioni e i recenti fatti di cronaca siano stati una “morte annunciata”. 

Impressiona soprattutto come i bambini parlino delle esplosioni di violenza improvvise, dello spaccio, delle sparatorie con tanta naturalezza, come se non li stupisse più nulla ormai. E di come un genitore deb affrontare le domande dei figli che chiedono che cosa sia la droga. 

Una periferia (come tante…troppe) che con la scusa di essere resa autonoma, creando al suo interno negozi e servizi, invece, è stata isolata. Con mezzi pubblici praticamente inesistenti, istituzioni come la biblioteca e i servizi sociali che se ne sono andati, perché ”troppo pericoloso lavorare lì”, o (ancora peggio) “qui non serviamo”. 

Un luogo diventato un parcheggio per migranti nei periodi di emergenza. Ma lasciati a loro stessi senza alcun controllo e senza, soprattutto, alcun riguardo per loro e per gli abitanti. 

Un pezzetto di mondo, Tor Sapienza, che non bastano 13’minuti per raccontarlo, ma che la regista, col suo lavoro mostra ad un pubblico di studenti e di curiosi, con i suoi “lati oscuri” e non solo: in un luogo dove tutti scendono per strada in pigiama, senza curarsi dell’opinione altrui, un piccolo “paesello” ai margini della Capitale, qui, la solidarietà domina su tutto. 

Solidarietà che è il vero leitmotiv della serata. 


Si continua, infatti con un interessantissimo web-doc di Paolo Palermo e Valerio Muscella, “4stelle Hotel”: progetto che descrive con foto e contributi video la vita all’interno del vecchio Eurostars Roma Congress Hotel & Convention Center, moderno albergo 4 stelle a circa un chilometro dal Grande Raccordo Anulare alla periferia est della città. Chiuso improvvisamente nel Dicembre 2011, viene occupato il 6 Dicembre 2012 da più di 250 famiglie di migranti (ma non solo) guidate dal collettivo BPM (Blocchi Precari Metropolitani), uno dei movimenti che si batte per il diritto all'abitare nella Capitale. 


Si legge dal sito: “Gli abitanti del 4Stelle Hotel sono ora circa 500 persone di una trentina di nazionalità diverse, principalmente provenienti da Maghreb, Corno d'Africa, America Latina, Europa dell'Est e Africa sub-sahariana. Insieme sono riusciti a ridare vita all'albergo tramite la riattivazione condivisa degli spazi comuni e delle camere, attraverso un processo di auto-organizzazione interna, dai turni di pulizia ai lavori di ristrutturazione. Alcuni degli occupanti vivono in Italia da molti anni, altri sono scappati da regimi, rivoluzioni e marginalità. Tutti rivendicano con dignità il diritto alla casa e a un futuro migliore. 4Stelle Hotel è la storia di questo condominio multietnico che si batte per un futuro migliore, sotto costante minaccia di sgombero da parte delle istituzioni. La casa, infatti, non è solo un riparo: è un diritto da reclamare e da difendere.” 

Credo che non ci siano parole migliori di queste, le loro, per descrivere questo splendido lavoro che potete vedere voi stessi all’indirizzo internet http://www.4stellehotel.it/. Spendete qualche minuto per conoscere le storie di chi abita quelle stanze, storie di speranza e di riscatto di chi giorno dopo giorno combatte contro il pericolo di sgomberi e contro la burocrazia, nonché contro leggi che ai molti sembrano giuste, ma spesso sono assurde. 

Infatti, con il Decreto legge 28 marzo 2014, n. 47 in materia di “Misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per l'Expo 2015” (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 73 del 28 marzo e convertito in Legge 23 maggio 2014, n. 80), all'art. 5 stabilisce: 

"Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l'allacciamento a pubblici servizi in relazione all'immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge". 

In applicazione di queste disposizioni, i cittadini interessati a presentare la Dichiarazione di residenza/ Cambio di abitazione devono dimostrare di avere un idoneo titolo di occupazione dell'immobile. A tal fine, devono compilare accuratamente l'apposita sezione e, nel caso in cui il richiedente la residenza sia persona diversa dal titolare del contratto di locazione/comodato, allegare la Dichiarazione sostitutiva del proprietario. 

 La dimostrazione del titolo di occupazione è necessaria per l'accettazione della pratica. 

E’ tutto giusto, ma il punto è: come faranno ad andare a scuola i bambini che in questi anni sono cresciuti al 4stelle? Senza residenza i genitori non potranno iscriverli a scuola…cioè: senza casa, non potranno mandarli a scuola. 

Casa ed istruzione. Entrambi diritti fondamentali a mio parere: ma cosa fare per chi una casa non ce l’ha? Cosa si fa realmente per chi come queste persone una casa non può permettersi di averla. E vi accorgerete, scorrendo le storie, che non ci sono solo migranti o rifugiati politici, ma anche italiani, italiane. Chiunque potrebbe ritrovarsi lì. 

La rabbia c’è e direi che sia normale, per questo un gruppo di ragazzi la si è organizzato e la urla in rima, trovando nell’arte del RAP una valvola di sfogo. Sono i ragazzi del Laboratorio HIP-HOP METICCIO “Stay Real” che proprio al 4stelle hanno trovato anche loro una “casa”. Una casa fatta di rispetto reciproco, di condivisione, di solidarietà: una famiglia, insomma. Un appoggio che viene solo da chi vive come te quello stesso disagio: un fratello, una sorella.

 Questo è lo spaccato pieno di contraddizioni, ma soprattutto VIVO, che emerge dal lavoro dal “4 stelle Hotel”. 

La serata si conclude con un invito del regista ad andare al 4 stelle, perché come dicono loro i posti occupati, non sono luoghi chiusi, ma aperti, “liberati”. 

Tutti a casa, quindi: più delusi nel vedere che ci sono cose belle che non vengono comprese, più arrabbiati nel sentire di diritti negati, ma più ricchi grazie a gente come loro, gente che non si arrende, gente che crede in un mondo più giusto, in un mondo più condiviso. 

Penso: 
“Mi sa che ci inciampo di nuovo al Palladium. 
Mi sa che inciampare arricchisce… 
Mi sa che inciampo un po’ di più su tutto d’ora in poi…” 

Link utili:
https://www.facebook.com/RomaTreFilmFestival?fref=ts
http://host.uniroma3.it/uffici/stampa/index.php?p=listapalladium https://www.facebook.com/pages/Come-un-castello/608347079271155 http://www.4stellehotel.it/https://www.facebook.com/4StelleHotel?fref=ts
https://www.facebook.com/labhiphopmeticcio?fref=ts
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Al Diavolo, di Francesca De Felice - Doppio Teatro | Recensione


Al Doppio teatro di Roma è andato in scena, Al Diavolo, scritto e diretto da Francesca De Felice. Sulla scena Massimo Folgori e Alessandro Giova. Sullo sfondo gli oggetti di scena vanno a riprodurre, unendosi tra loro, un classico camerino di un artista. Un mobile con uno specchio al centro dell’intera composizione, uno specchio che riflette le fattezze di colui o colei che si trova di fronte. Uno specchio che non può mentire. Un tempo che passa, nell’attesa. Una soluzione servita su un piatto d’argento. Una decisione da prendere. Dubbi, paure e tentazioni di un uomo. Uno spettacolo dove i due interpreti si scambiano i ruoli interpretando, in alternanza, l’uomo, possessore di anima e il Diavolo, colui che se ne vuole impossessare. Uno spettacolo che nonostante la sua gradevolezza resta anch’esso in attesa di sviluppare il proprio potenziale come quell’artista di cabaret da esso rappresentato. Portando in scena una tematica già sviscerata nei vari ambiti artistici avrei, a livello testuale, affrontato la questione da un nuovo punto di vista, uno sguardo rilevatore del nuovo, far conoscere al pubblico qualcosa che fino ad ora non si era mai visto. Dare vita ad un’urgenza. Cosa voglio far vedere? Cosa voglio far sentire? Quale è la cosa che a me regista e a me scrittore preme dire?. Apprezzando alcuni spunti dati sia dal testo che dalla resa registica sarebbero potuti essere portati fino in fondo sia nelle uguaglianze che nelle differenze. Uno spettacolo gradevole con un maggior potenziale da esprimere. Una buona prova degli attori che si sono dovuti cimentare in cambi repentini tra l’anima e la sua assenza.
Francesca Cipriani

AL DIAVOLO
scritto e diretto da Francesca De Felice
con Massimo Folgori e Alessandro

visto al

DOPPIO TEATRO
Via Tunisi 16 - Roma
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