Questo curioso riadattamento in chiave moderna del celebre monologo di Amleto l'ho trovato all'ultima pagina del secondo numero di To Be, rivista gratuita di recente formazione dedicata al teatro. La rivista, distribuita nei teatri e non so in quali altri posti, per ora è presente solo a Roma e nel Lazio. Il pezzo viene proposto come traduzione apocrifa e ci mostra un Amleto totalmente nuovo, contemporaneo; prendendo come spunto un personaggio che non citeremo, questa traduzione fornisce la prova concreta della spiccata universalità del linguaggio shakespeariano.
Entra Amleto
Essere o non essere, questo è il problema:
se sia più nobile soffrire, nell'intimo del proprio spirito,
le pietre e i dardi scagliati dall'ex alleato
e cofondatore, o imbracciar l'armi, invece,
contro i giudici nemici, e, combattendo contro i processi,
metter loro le fini. Sparire. Volare. Nient'altro.
E nell'antigua villa poter calmare
i dolorosi battiti del cuore, e le mille offese dei giornali
di cui fu vittima la mia carne: quest'è una conclusione
che desidero notevolmente. Sparire, giacere.
Dormire, magari trombare. È proprio qui l'ostacolo:
perché in quel partito d'amore,
tutti i sogni che possan sopraggiungere
quando noi ci siamo liberati dal tumulto,
dal viluppo di questa vita morale,
dovranno indurci a riflettere. È proprio questo scrupolo
a dare alla sventura una vita così lunga!
Perché, chi sarebbe capace di sopportare
le frustate dei secondi fini,
i torti dei giornali e delle televisioni, gli oltraggi dei travagli,
le sofferenze dell'amore partito e non corrisposto,
gli attacchi della legge,
l'insolenza dei giudici e lo scherno che il mio merito
riceve fin dai sodali, se potesse egli stesso
dare a se stesso la propria quietanza
con un nudo pugnale? Chi s'adatterebbe a portar cariche
di presidenze di consiglio o addirittura di repubblica,
a gèmere e sudare sotto il peso d'una vita grama,
se non fosse che la paura di sentenze prima della morte
- quel territorio inesplorato dal cui confine
non torna finora indietro nessun viaggiatore -confonde
e rende perplessa la volontà,
e ci persuade a sopportare le maldicenze
che già soffriamo piuttosto che accorrere verso altri mali
di cui non sappiamo nulla. A questo modo,
tutti ci rende vili la coscienza,
e l'incarnato natuale della risoluzione
è reso malsano dalla pallida tinta del cerone,
e imprese e leghe di gran conseguenza,
deviano purtroppo in mille correnti,
e perdono il nome d'azione. Vota, ora:
o bella Democrazia! Ninfa, nelle tue preghiere
intercedi per me, peccatore.