Vorrei solo incontrare le tue mani,
lasciare che mi guidino, fin dove vorranno
o che mi stringano, eterne, silenti,
lontano dal tutto in placide notti
finché l'ultima stella non muoia
e l'alba torni a ricordarmi il tuo volto.
Non vedi come tremano le mie
s'agitano nel vuoto di profondi pozzi,
l'acqua alla gola, le dita aggrinsite
inesorabili scivolano su muschi vischiosi;
e il tanfo marcio di funghi e muffe
lacera i sensi, non fatemi respirare!
Eppure, questa carne straziata
ha ancora un'ancora: pensa.
Invano si divincola dall'oscura melma
e vorresti spaccare l'enorme clessidra
quei granelli, quello stridio di sabbia
le orecchie non vogliono più udire;
e allora, niente in un tempo disperso,
niente rimarrebbe, neanche l'attesa.
Cos'è ora quest'inconsueto silenzio?
Son forse morto? Non vedo, non odo
non più respiro, non più sento il freddo,
le ferite hanno smesso di sanguinare
svanito è il tormento alle mie ore. Eppure...
Penso, e son magma vivo di parole, cerco
suoni che più le orecchie udiranno
colori che più gli occhi vedranno
strade che i piedi non percorreranno. Eppure,
ancora scalpita questo vivo pensare:
che il pensiero, elevandosi, divenga eterno?
Portami allora pensiero sugli antichi navigli
fammi percorrere le vie dell'aria
che solcavo in seno al mio vascello,
ah, come si gonfiava allora il mio cuore!
E volavo...
Mi pare di sentire davvero quel sibilo
scuotere le vele e i ciuffi d'erba turbare
tra le foglie vibrare e morire sulla pelle;
pare di vedere gigli inchinarsi al sole
le api corteggiare i fiori e ancora
i sensi inebriare ai morbidi effluvi
dei ronzii dei canti estatico succhiare
brioso ubriacarsi d'ogni tipo di nettare:
- non era la morte; dormivo sognando
macabri pozzi e solitari deliri, mani
protese dalle lunghe dita eleganti
salvarmi, improvvisa luce, primavera.
Matteo Di Stefano
domenica 27 marzo 2011
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